Torna a fare scalpore l’obbligatorietà del pagamento dei contributi annuali da parte alle famiglie degli studenti iscritti negli istituti professionali: si tratta di cifre non altissime, attorno ai 130 annui, ma che spesso le famiglie non pagano. Più spesso di quanto si pensi. Creando non pochi problemi ai figli, soprattutto se frequentano scuole superiori dove i dirigenti scolastici sono particolarmente attenti al pagamento di questa sorta di “tassa” aggiuntiva, necessaria per la manutenzione e l’implementazione dei laboratori.
Problemi davvero importanti li ha avuti nelle ultime ore uno studente di 17 anni iscritto all’Istituto Professionale ‘Primo Levi’ di Parma, che è rimasto fuori dalla classe per cinque ore mentre i suoi compagni erano a lezione. Eppure l’ho iscritto ad una scuola pubblica, ha spiegato la madre: “mio figlio è stato fuori perché non aveva il libretto che viene dato quando si fa il versamento di 130 euro. Gli è stato detto che non poteva entrare fino a quando non pagava la retta”.
Di diverso avviso la scuola: “L’abbiamo invitata per vedere se almeno riusciva a pagare la parte obbligatoria della cifra, 25-30 euro per assicurazione e libretto. Mai vista, ma abbiamo letto tutto sul giornale”.
La denuncia la donna l’ha lanciata il 10 novembre dalle colonne della Gazzetta di Parma dove ha spiegato anche le difficoltà che sta vivendo la sua famiglia dal punto di vista economico. “L’anno scorso ho pagato metà retta, 60 euro, facendo sacrifici, ma questa volta non siamo riusciti a pagare – ha spiegato la madre del ragazzo ‘escluso’ – O prendevo i libri o pagavo la tassa. E ho preso i libri: 200 euro”. L’istituto scolastico ha ribadito la sia versione e specifica ancora: la somma richiesta era pari a 130 euro, compresi i contributi volontari per far funzionare la scuola, ma alla famiglia dello studente era stato chiesto di venire a parlare in presidenza per concordare almeno il pagamento di quelli obbligatori, per libretto e assicurazione, tra i 25 e i 30 euro.
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“La madre – ha ribadito all’Ansa il vicepreside, Massimo Barezzi – non si è vista in presidenza, ma la storia è finita sul giornale”. “Già l’anno scorso – ha spiegato Barezzi in relazione a quanto sostenuto dalla donna per l’anno precedente – era successa la stessa cosa con diversi studenti. E in alcuni casi abbiamo soprasseduto anche alla parte obbligatoria dei 130 euro, non solo ai costi dei contributi volontari. La nostra è una scuola che fa entrare in officina i suoi studenti, ci sono i trucioli di metallo che sono molto taglienti, e l’assicurazione è obbligatoria. Ma in certi casi, per l’acclarata indisponibilità di denaro, abbiamo deciso di soprassedere. Sarebbe stato forse anche il caso della famiglia dello studente. Purtroppo non è stato possibile parlare con la madre”.
In molte occasioni, si è difeso il preside Giorgio Piva, le famiglie in difficoltà sono state aiutate dall’Istituto e la riscossione delle quote è sempre dilazionata e a discrezione delle famiglie stesse. Questa volta, però, ha concluso, “non è stata fatta alcuna richiesta”. Ma in aiuto della famiglia, e per risolvere definitivamente il problema, interviene un anonimo cittadino. “Sono pronto a pagare io i 130 euro se mi viene assicurato l’anonimato: questi soldi fortunatamente io posso ancora spenderli e mi sembra giusto usarli perché un ragazzo non resti fuori da scuola”.
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