Lavorare a scuola è usurante. Il disagio dei docenti è sempre più evidente rispetto a un mestiere che è profondamente cambiato e continua a modificarsi ogni anno con un notevole aggravio di lavoro.
Lo dimostrano anche alcuni sondaggi effettuati di recente sull’argomento.
La professione non è più la stessa, risultando radicalmente differente a quella di alcuni lustri fa e soprattutto rispetto alle aspettative di molti insegnanti.
A tale quadro occorre aggiungere altri aspetti: genitori e allievi aggressivi, che talvolta mettono a repentaglio l’incolumità del docente, come si evince dalle cronache locali; il registro elettronico che ha trasformato un atto semplice in un continuo rischio di errore, soggetto a un collegamento internet non sempre stabile; la burocrazia gigantesca e asfissiante che è diventata un lavoro nel lavoro e di fatto assorbe molte ore dei docenti durante la propria giornata; le riunioni che si moltiplicano ogni anno e che portano i docenti a una presenza più consistente nella scuola, senza nemmeno il riconoscimento di un buono pasto, assegnato alle altre categorie.
A queste incombenze vanno comunque aggiunti i compiti tipici della docenza, come la stesura e la correzione di verifiche per classi sempre più numerose, la preparazione delle lezioni e gli aggiornamenti che vengono sempre più richiesti alla professione, il più delle volte intorno ai soliti argomenti.
Le famose 18 ore alla secondaria e 24 alla primaria sono pertanto la classica punta dell’iceberg della mole quotidiana di lavoro, non riconosciuto, a cui i docenti sono sottoposti.
Ci sono però altri aspetti da sottolineare. La digitalizzazione compulsiva porta gli stessi docenti a dovere modificare in continuazione il proprio metodo di insegnamento rischiando di sgomitare con lo stesso art.33 della nostra Costituzione.
Non bisogna dimenticare inoltre che la categoria risulta soggetta a un forte rischio burnout, come hanno evidenziato da molto tempo gli studi dell’esimio Dottor Vittorio Lodolo D’Oria, pioniere degli studi sulle malattie professionali degli insegnanti in Italia. Tali teorie diventano drammaticamente attuali con l’incremento e la burocratizzazione dell’insegnamento.
Infine la legge 107/2015, cosiddetta della “Buona scuola”, ha legittimato un’asimmetria di potere tra i Ds e i docenti, di fatto contribuendo ad “aziendalizzare” sempre di più il nostro lavoro con le chiare conseguenze che ne derivano.
Alla luce di queste considerazioni, non si può pensare di tenere questi ritmi fino alle soglie richieste attualmente dall’accesso alla pensione.
Occorre notare che i lavoratori della Scuola sono gli unici a non poter usufruire della possibilità di transitare verso un altro ramo della P.A., e questo risulta una discriminante importante tra i lavoratori del Pubblico Impiego, anche perché il personale docente della Scuola risulta ormai in gran parte laureato, e può portare, comunque, il suo prezioso contributo di esperienza dentro un altro ramo della P.A.
Il blocco della mobilità intercompartimentale era stata stabilito da dalla legge 311/2004 “In vigenza di disposizioni che stabiliscono un regime di limitazione delle assunzioni a tempo indeterminato…” in occasione del blocco del turnover presso le altre amministrazioni dello Stato, dove la scuola sembrava meno soggetta a subire tale condizioni. Questa situazione veniva ricordata dall’Usr Puglia nel 2017, in risposta ad alcuni docenti che avevano fatto richiesta di nulla osta per il passaggio ad altra amministrazione.
L’Usr Friuli Venezia Giulia con una nota del 2018 ricordava che in merito all’argomento “la procedura non risulta ancora realizzabile, in quanto non sono mai stati definiti i criteri generali per l’attuazione di quanto previsto dal comma 1 dell’art.30 del DLgs n. 165/2001.”
Inoltre la legge 107/2015 al comma 133 ha previsto il passaggio alla Mobilità intercompartimentale del personale della scuola, ancorché in posizione di comando, distacco, o fuori ruolo, e più di recente lo stesso PNRR chiede agli Stati di favorire la mobilità tra i diversi rami della P.A.
Le cose però sono radicalmente cambiate di recente.
La P.A. a partire dal 2019, ha bandito migliaia di nuovi posti di lavoro, superando il blocco del turnover alla base del divieto imposto ai docenti. Pertanto le limitazioni suddette non hanno più alcuna ragione di essere, essendo smentite dai fatti.
Il gruppo “Mobilità intercompartimentale docenti”, quindi, ai sensi dell’art.3 Costituzione e non solo, previa richiesta dell’interessato/a e almeno a parità di condizioni economiche, invita a superare la questione, se necessario con un intervento del decisore politico, e richiede già a partire dal prossimo contratto di Mobilità:
● Il passaggio verso altro ramo della P.A.;
● la possibilità di accedere all’eventuale carenza di posti emergenti dagli uffici del MIM, quali dipendenti dello stesso Ministero, senza bandire un concorso esterno.
In subordine richiede:
● il passaggio ad ATA senza interruzione della propria carriera economica o alcuna cristallizzazione della stessa;
● la richiesta di mobilità semplice per i docenti di ruolo che possa avvenire ogni anno, come nel resto della P.A., senza il vincolo triennale;
● lo stop alla burocratizzazione della Scuola.
Antonio De Cristofaro – Gruppo Mobilità intercompartimentale docenti.
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