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Professione insegnante: considerazioni di “genere”

Vale quindi la pena, in questa festa del 1° Maggio, soffermarci sulla questione, approfittando del “femminismo di ritorno” rilanciato da Hillary Clinton, in corsa per la Casa Bianca, e dalla parità di genere sul salario rivendicata da Papa Francesco.

Partiamo dalla parità salariale tra insegnanti uomo e donna: questa pare essere rispettata, ma in modo parimenti insufficiente per tutti e due. In effetti Papa Francesco aveva già fatto un richiamo sull’inadeguata retribuzione dei docenti, ben sapendo che l’erogazione di un basso compenso a un qualsivoglia lavoratore fa parte dei cinque peccati che “gridano vendetta al cielo” (Genesi). E quanto sopra a prescindere dal fatto che il datore di lavoro sia un privato cittadino o lo Stato.

Se il pontefice resta inascoltato, le altre voci “femministe” sembrano orientate ad altre platee (es. impiegate, commesse etc), con esclusione di quella scolastica. C’è solamente un “popolo”, forse ancor più bistrattato delle docenti, ed è quello delle casalinghe.

Ecco ancora una volta che i due mondi (scuola e famiglia) si toccano, si completano, si compenetrano. Le due agenzie educative tessono i primi e fondamentali rapporti intergenerazionali, con qualche differenza, avendo come protagonista assoluta la donna. E’ infatti la madre da subito a garantire il rapporto (intergenerazionale) “nutritivo” attraverso il cordone ombelicale prima e il seno poi; è ancora la madre (con un più ridotto ma essenziale ruolo del padre) a esercitare il ruolo (intergenerazionale) “educativo” sulla prole; è infine ancora la donna (82% insegnanti) a svolgere quel rapporto (intergenerazionale) formativo a scuola.

Dunque donna protagonista, sia fisiologicamente che fattivamente, in quel rapporto intergenerazionale che sarà quasi sempre asimmetrico in famiglia (con tendenza all’inversione dei ruoli con l’invecchiamento), e perennemente asimmetrico durante la carriera docente. Da questa situazione di costante asimmetria nel rapporto intergenerazionale lavorativo derivano due rischi tipici per la donna insegnante: a) la difficoltà ad avere un rapporto/confronto coi pari; b) l’infrequente ricorso alla condivisione coi colleghi per far fronte a problemi o situazioni stressanti. Non vanno poi dimenticate le due ulteriori piaghe – più volte denunciate – che gravano sulla professione docente: gli stereotipi dell’opinione pubblica e lo stigma delle patologie psichiatriche quali patologie professionali della categoria.

Ricapitolando. La donna è vera protagonista non solo nel dare alla luce le nuove generazioni, ma anche allacciando e garantendo i rapporti intergenerazionali (nutritivo, educativo, formativo). All’istituzione non interessa la funzione esercitata dalle due agenzie educative “storiche”, ma sembra addirittura esserne disturbata. Da qui le insensate e recenti picconate su entrambi gli istituti “scuola” (vedi DDL buona scuola) e “famiglia” (divorzio breve), quasi che qualcuno o qualcosa volesse appropriarsi del loro insostituibile ruolo. Ricordo una cosa del genere, in Germania nel 1936, si chiamava “Progetto Lebensborn”: fallì miseramente.

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Vittorio Lodolo D'Oria

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