Molte le novità che riguardano il personale nel decreto scuola: “L’istruzione riparte”, dice Il Sussidiario, e tra queste, la formazione e l’aggiornamento obbligatori per tutti i docenti, al cui interno risiede però la disparità.
La formazione e l’aggiornamento dovrebbero riguardare:
a) rafforzamento delle conoscenze e delle competenze di ciascun alunno attraverso una didattica rinnovata che tenda anche a “migliorare gli esiti nelle valutazioni nazionali Invalsi”;
b) potenziamento delle competenze per favorire l’integrazione di alunni con disabilità e bisogni educativi speciali (Bes);
c) rafforzamento di tutto ciò che si muove sotto l’ombrello dell’integrazione e della didattica interculturale;
d) aumento delle competenze concernenti l’educazione all’affettività e alle pari opportunità di genere;
e) gestione e programmazione dei sistemi scolastici;
f) processi di digitalizzazione e di innovazione tecnologica;
g) competenze per favorire i percorsi di alternanza scuola-lavoro.
La preoccupazione di chi ha vergato tali indirizzi, sottolinea il giornale online, è quella di volere prima rendere favorevoli le condizioni dell’apprendimento e poi procedere ad insegnare ciò che rientra in una sorta di “casellario dell’emergenza”. Caso tipico quello dei bisogni educativi speciali (Bes), per i quali si rimarca che i docenti assegnati ad una classe nella quale è presente almeno un alunno con le caratteristiche di cui sopra “sono tenuti in via sperimentale per l’anno scolastico 2014-2015 a partecipare ad almeno un corso di formazione sugli aspetti della didattica dell’inclusione scolastica per classi con esigenze differenziate e della facilitazione per l’apprendimento della seconda lingua”.
Se le risorse per tali operazioni sono complessivamente 10 milioni, di cui 5 sui Bes a partire dall’esercizio finanziario 2013, vengono opportunamente introdotti tra gli enti formatori, a pieno diritto, accanto alla università statali e non statali, le “associazioni professionali accreditate dal Miur, da individuare nel rispetto dei principi di concorrenza e trasparenza”.
La questione a questo punto diventa scottante perché attraverso la formazione e l’aggiornamento si entra nel cuore della didattica, che consiste nella proposta formativa che l’insegnante fa ai propri alunni mediante i contenuti dell’insegnamento. Se non c’è insegnamento, non c’è neppure apprendimento. E ancora più rilevante perché dalla formazione passa il nodo della professionalità docente. Un docente che ha l’obbligo di formarsi dovrebbe essere anche un docente la cui progressione di carriera non è legata alla sola anzianità di servizio ma anche alla cura dei compiti professionali.
Altrimenti, sottolinea ancora Il Sussidiario, l’obbligatorietà è il veicolo del peggiore statalismo, mentre si parla dell’insegnante come di un “professionista riflessivo”, ma poi, nei fatti, si continua a considerarlo un “impiegato”, neppure in grado di scegliere dove, come e quando curare il proprio percorso di maturazione professionale. Ecco perché il possibile collegamento, nella forma di un riconoscimento tramite convenzione, tra Miur e associazioni professionali accreditate rappresenta uno spazio di libertà che può evitare l’imposizione di una formazione vincolante e uguale per tutti, considerando che esse sono espressione di una varietà culturale, di una libertà interpretativa di approccio alla professione e ai contenuti dell’insegnamento, di cui l’insegnante ha più che mai bisogno. Tanto più se si arrivasse a includere la formazione tra gli obblighi di servizio.