Profumo: “Nessuna fuga dagli atenei”

In base alla denuncia del Cun, il Consiglio Universitario Nazionale, ci sarebbe una crisi profonda dell’università. In dieci anni gli iscritti sono calati del 17%, come se l’intera Statale di Milano non esistesse più.
“Credo che per dare giudizi si debba partire da dati che abbiano valore statistico reale. In quel caso invece è stato considerato un anno di riferimento in cui c’è una bolla dovuta a due elementi. Da un lato ci sono gli studenti partiti con il vecchio ordinamento che hanno tentato di iscriversi al nuovo per ottenere la laurea breve. Questo ha un grande valore sociale ma crea una bolla nei dati. E poi c’è un altro gruppo di dipendenti della pubblica amministrazione che frequentavano le università per effetto di accordi che consentivano loro di laurearsi e di ottenere crediti. Dai dati risulta invece che prima dell’avvio del nuovo ordinamento, nel 1999-2000, gli immatricolati erano 278 mila e 278 mila erano dieci anni dopo. Nel 2003-2004, invece, quando la riforma era operativa, quasi 64 mila studenti neo-iscritti avevano più di 23 anni. Dieci anni dopo gli stessi studenti sono solo 18 mila. La bolla si è annullata”. Relativamente al calo costante dal 2005 dei nuovi iscritti continua dicendo:
“Nel corso di questi anni ad essere crollate sono le immatricolazioni di chi ha più di 19 anni, e cioè di quelli che sono passati dal vecchio al nuovo ordinamento. E va considerato anche l’aspetto demografico. Tra il 1999 e il 2011 si sono persi 70 mila diciannovenni per il crollo delle nascite, mentre il numero dei diplomati è rimasto costante. È evidente quindi che più correttamente va detto che la scolarità è aumentata”
Mentre sulla effettiva capacità degli atenei a rispondere alle esigenze degli studenti, Profumo afferma: “I dati ci mostrano come solo una parte di coloro che hanno fatto parte della bolla si sono poi davvero laureati. Ma mostrano anche un sistema stabile. La media di crescita dei laureati in Italia è superiore a quella dell’Ue a 21 che è del 4% e dei Paesi Ocse che è del 3,7%. Paesi come la Francia e la Germania sono fermi al 2,8% e all’1,3%. Partendo da una situazione peggiore abbiamo avuto l’opportunità di crescere di più. Il sistema universitario italiano non presenta anomalie e ha una buona tenuta, superiore alle aspettative: la crisi risale al 2007 determinando difficoltà da parte delle famiglie e minore propensione a decidere di investire risorse in questi studi”.
E poi continua: “Quelli di cui ho parlato finora sono dati medi. È chiaro che il quadro non è omogeneo in tutto il Paese. ma diverso da regione a regione e da università a università. Il vantaggio rispetto al passato è che oggi quando studenti e famiglie scelgono non badano più solo ad ottenere la laurea ma alla qualità del titolo. E esistono dati oggettivi che consentono agli studenti di fare la scelta migliore. Nei giorni scorsi abbiamo approvato il decreto sull’accreditamento e la valutazione, il primo passo per avere dati certificati su tutto il territorio nazionale in modo che gli studenti scelgano l’università più adatta ed efficiente”. “Stiamo lavorando per garantire il diritto allo studio. Fra pochi giorni ci sarà un decreto che premierà chi vale. Non interverremo sulle quantità ma ci sarà una rimodulazione su base geografica che permetterà di favorire gli studenti svantaggiati e fuorisede e penalizzare i fuoricorso”.
Se dovesse fare invece un resoconto del suo operato al Miur, il ministro dichiara di avere dato “la possibilità di far capire che alcuni settori come scuola e università non possono seguire i tempi della politica ma sono investimenti a lungo rilascio, indispensabili, da tenere in considerazione sempre e comunque”.

Redazione

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