“Così i ragazzi escono fuori più ignoranti di prima!”; “Perdiamo un sacco di tempo e non andiamo avanti coi programmi!” (sic!)
La progettazione e la didattica per lo sviluppo delle competenze, prima ancora che la scuola italiana abbia imparato ad utlizzarle realmente, suscita in alcuni docenti entusiasmi sfrenati, da baccanti in delirio così come, in altri, atteggiamenti di rifiuto repulsivo e reazioni cutanee, come neanche un rotolamento insistito su un prato di ortiche potrebbe garantire. Secondo i suoi detrattori, infatti, esse ostacolerebbero il processo conoscitivo, limitandosi a darne solo l’illusione.
Questo è senz’altro vero, ma vale per le pratiche didattiche impostate male. Ad esempio, non è raro trovare prove di realtà e Uda in cui c’è un chiaro scollamento con i contenuti delle discipline. La didattica per competenze ha invece estremo bisogno di mettere in gioco seriamente le conoscenze e le abilità che le discipline possono sviluppare in alunni e studenti. Altrimenti si scambieranno per competenze reali quelle che sono, al massimo, espressioni della eventuale capacità di “cavarsela”, da parte degli alunni, di fronte ad alcuni problemi, talvolta soprattutto pratici ed organizzativi, posti loro.
Il corso della Tecnica della Scuola per realizzare il miglior RAV possibile
Saranno svolti 5 incontri di 3 ore ciascuno per un totale di 15 ore
> Martedì 10 settembre 2019 – dalle 16.00 alle 19.00
> Venerdì 13 settembre 2019 – dalle 16.00 alle 19.00
> Venerdì 20 settembre 2019 – dalle 16.00 alle 19.00
> Lunedì 30 settembre 2019 – dalle 16.00 alle 19.00
> Mercoledì 2 ottobre 2019 – dalle 16.00 alle 19.00
Il punto è che un alunno culturalmente impreparato, anche se spigliato, disinvolto, comunicativo e fattivo nell’affrontare problemi pratici, non sarà mai un alunno competente, anche se ti mette su disinvoltamente il power point o lo “spot finale” sul tema affrontato, dando per questo la pia illusione (innanzitutto a sé stesso) di avere quel minimo auspicabile di contezza conoscitiva e di consapevolezza problematica degli aspetti fondamentali dell’argomento in questione, che solo l’effettiva conoscenza di contenuti può consentire. Da qui la (a questo punto, non peregrina) critica di cui si diceva.
Insomma, quanta conoscenza dell’Italiano, della Matematica, delle Scienze, della Storia, della Musica è richiesta in quella prova o situazione di apprendimento, ad alunni e studenti, perché essa possa mettere in gioco e consolidare o sviluppare in loro effettive competenze? Questa domanda talvolta non viene adeguatamente posta in sede di progettazione di Uda e di prove di realtà o di progettazione curricolare.
Progettare questi dispositivi è un po’ come preparare piatti o diete alimentari in cui vanno inseriti alimenti che, per le loro proprietà chimiche, sono necessari per il soggetto ed il suo sviluppo. Se questi ha bisogno di ferro, gli si darà un piatto completo (fuor di metafora: aspetto formativo e olistico, centrato sulle competenze) in cui è presente anche il ferro (aspetto istruttivo, centrato su specifiche conoscenze e abilità, in buona parte disciplinari). Sarebbe sbagliato togliere il ferro da quell’alimentazione (patatine fritte, “che a loro piacciono tanto”) così come sarebbe sbagliato tornare alle pillole contenenti ferro (la scuola di una volta), da ingoiare direttamente e senza tante spiegazioni (“Ti fanno bene! Mangia e basta!”).
Se, poniamo, le espressioni aritmetiche costituiscono una parte importante del percorso conoscitivo che il docente di Matematica vuol far fare ai propri studenti in una secondaria di primo grado, sarà necessario che egli, con gli altri docenti del Consiglio di clsse, predisponga una prova di realtà con uno scenario ed un compito di prestazione che costringano gli studenti ad effettuare dei calcoli che possono essere svolti agevolmente solo applicando le stesse abilità implicite nella risoluzione delle espressioni aritmetiche (l’organizzazione di un evento complesso, ad esempio, in cui vanno calcolati costi e ricavi su più variabili e su cui esercitare più ipotesi di andamento dei conti, ad esempio, a seconda del numero dei paganti).
Sta ai docenti delle singole discipline, insomma, consapevoli del valore formativo delle loro materie, predisporre dispositivi formativi che contengano menù ricchi di elementi conoscitivi, sia pure in un contesto di prova che, per la natura stessa delle competenze, è inevitabilmente interdisciplinare.
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