I decisori politici mostrano da settimane interesse e sollecitudine per Scuola e studenti. Tanto da stanziare ingenti somme per la “didattica distanza” (“DaD”) dopo decenni di tagli che hanno trasformato le classi in pollai malsani, stravolto i piani di studio, tagliato decine di migliaia di cattedre, sfigurato il quadro orario (persino del Liceo Classico).
Ma gli stanziamenti attuali (70 milioni pagati sull’unghia per dare dispositivi — notoriamente a obsolescenza programmata — ai meno abbienti, più altri 10 per dotare le scuole di strumenti e 5 per «formare il personale scolastico») segnano davvero un’inversione di tendenza? O forse dietro la DaD si nasconde un progetto di risparmio? Forse spendere oggi significa risparmiar molto più domani, se i docenti si abituano lavorar da casa (consentendo il taglio di altre migliaia di cattedre)?
Sta di fatto che il MIUR non vuole solo insegnamento a distanza, ma ancor più valutazione e organi collegiali in videoconferenza. Perché mai? Non è già molto che i docenti — pur non obbligati da nessuna norma — si stiano prodigando dal 5 marzo per aiutare i ragazzi a non mollare il bagaglio di conoscenze e capacità fin qui raggiunte nel corso dell’anno? Perché accollare agli insegnanti pure la burocrazia, parlando di “riprogrammazione” e facendoli sentire obbligati a riunioni fuori norma e ai limiti del legale?
Semplice. Il Ministero sa bene che la Legge non prevede quanto si sta imponendo docenti, studenti e genitori mediante decreti, circolari e note ministeriali. Forse si intende superare il problema in fretta, facendolo risolvere ai docenti? Infatti proprio questi son chiamati legittimar ciò che legittimo non è, tramite la propria partecipazione a riunioni che — non essendo in presenza e non dando garanzie di trasparenza, di facilità di accesso, di discussione serena, di sicurezza e riservatezza — altro non sono che semplici chiacchierate tra colleghi. Si vuole, insomma, far ricadere sugli insegnanti la responsabilità di decidere su temi (come la legittimità della valutazione a distanza, la quale — proprio perché a distanza — non è affatto credibile), che sono competenza esclusiva del potere legislativo (e, nella latitanza di quest’ultimo, competono al potere giudiziario).
Che accadrebbe se i docenti facessero valere, tramite la dubbia validità di decisioni prese collegialmente “a distanza”, promozioni e bocciature? Pioverebbero i ricorsi. E giustamente. Ma non si creda di evitare il problema promuovendo tutti. Infatti, persino il genitore di un alunno promosso con 9 potrebbe legittimamente eccepire che magari, con la didattica tradizionale, il proprio pargolo avrebbe preso 10!
La sola tecnologia nell’Italia di oggi non garantisce l’uguaglianza di opportunità tutti gli utenti. Gli insegnanti in queste settimane toccano con mano quanto sia difficile conferire efficacemente con tutti gli studenti in videoconferenza. Si comunica bene, sì e no, con sei o sette di loro. Tra gli altri, c’è chi dorme, chi gioca col gatto, chi se la ride con un amico estraneo alla classe (che “segue” con lui, divertito, la lezione), chi non ha una connessione efficace e non capisce quanto viene detto, chi non ha la telecamera (o dice di non averla) e non si fa vedere (con conseguente impossibilità di controllarne l’operato).
Si può allora parlare — come fa il Capo Dipartimento per il sistema educativo d’istruzione e formazione Dottor Marco Bruschi — di «attività di valutazione costanti, secondo i principi di tempestività e trasparenza»? Può una prova di profitto esser “somministrata a distanza” senza chi verifichi le variabili di contesto ed eviti il celeberrimo cheating (alias copiatura)? È accettabile che scuole diverse adottino per la valutazione criteri drasticamente diversi? Che omogeneità (e valore legale!) avrebbero titoli di studio (e di accesso alle classi successive) conferiti in questo modo bislacco?
Ed è giusto (e legittimo) che la responsabilità di decisioni così gravi venga fatta ricadere sulle spalle (già onuste) dei docenti più sottopagati d’Europa? Non sarebbe compito di un Governo degno di tal nome assumersi la responsabilità di decisioni chiare e inequivocabili circa l’esito da dare un anno scolastico ormai compromesso?
L’amore per i ragazzi dovrebbe partire dall’abbandono di qualsiasi ipocrisia giocata sulla loro pelle. Al contrario, pare proprio che nell’Italia di oggi (specie per la Scuola) l’unica cosa che conti non sia far qualcosa di serio ed utile, ma mostrare che si sta facendo qualcosa, e sbandierarlo: il MIUR con continue esternazioni televisive e note, i Dirigenti con piogge quotidiane di circolari, gli staff dirigenziali con solerti indicazioni ai colleghi, i docenti con un’ansia di prestazione che li spinge a lavorare più che in tempi normali e a caricare di compiti ragazzi già stressati dalla condanna al domicilio coatto. Si arriva al punto che a bambini di otto anni s’impone di svolgere, come compito di “educazione motoria”, esercizi fisici complicatissimi (e pericolosi se svolti in casa), e ai loro genitori di mandare poi il filmato alla maestra!
Se il Governo continuasse a non decidere, a quali ulteriori sorprese ci potrebbe portare l’italica creatività (e fantasia) nel salvare l’apparenza?
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