Il disegno di legge della Lega sullo stop ad alcuni nomi declinati al femminile è stato, oggi, ritirato dopo le critiche. Lo annuncia Il Corriere della Sera. Come abbiamo scritto, la bozza di ddl del senatore Manfredi Potenti prevedeva una multa fino a 5000 euro per chi utilizzasse parole come “avvocata” o “ministra” nei documenti ufficiali.
I vertici del partito, a partire dal capogruppo al Senato Massimiliano Romeo, non condividono quanto riportato nel Ddl: “Non rispetta la nostra linea”. E ne hanno chiesto il ritiro immediato.
Tantissime erano state le critiche. La senatrice e linguista Aurora Floridia (Avs) si è fatta promotrice di una lettera inviata al presidente del Senato Ignazio La Russa e firmata da 76 senatrici e senatori, in cui si rivendica la libertà e il diritto a essere chiamate con il genere femminile: “Questa proposta rappresenta un grave passo indietro nella lunga e faticosa lotta per la parità di genere — ha commentato —. Il linguaggio è un potente strumento di inclusione e riconoscimento delle identità. Cancellare il femminile significa negare visibilità e dignità alle donne che ricoprono ruoli di responsabilità e prestigio nella nostra società”.
La socio-linguista Vera Gheno ha detto: “I femminili esistono da tempi molto antichi (si vedano ministra e soprattutto avvocata, uno dei nomi della Madonna), quindi non si tratta di alcuna “’sperimentazione'”.
Il progetto normativo, intitolato “Disposizioni per la tutela della lingua italiana, rispetto alle differenze di genere”, ha l’obiettivo dichiarato di “preservare l’integrità della lingua italiana ed in particolare, evitare l’impropria modificazione dei titoli pubblici dai tentativi ‘simbolici’ di adattarne la loro definizione alle diverse sensibilità del tempo”.
L’esponente del Carroccio si è spinto a citare, per puntellare la sua tesi, i dubbi del “compianto linguista Luca Serianni“, morto proprio due anni fa, nonché “la contrarietà del Presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, rispetto ad una decisione dell’Accademia della Crusca circa la possibilità di declinare al femminile le cariche pubbliche coperte da donne”.
Ecco cosa aveva detto anni fa il linguista, come riportato sul sito dell’Accademia della Crusca: “A me sembra che, al di là dell’uso di alcuni giornali (non di tutti!), più sensibili al ‘politicamente corretto’, nella lingua comune forme del genere non siano ancora acclimatate e, anzi, potrebbero essere oggetto d’ironia. Sul loro successo incide negativamente anche il fatto che molte donne avvertano come limitativa la femminilizzazione coatta del nome professionale, riconoscendosi piuttosto in una funzione o una condizione in quanto tale, a prescindere dal sesso di chi la esercita. I giornali hanno fatto gran parlare, a suo tempo, dell’uso di Irene Pivetti che si riferì a se stessa come ‘presidente della Camera’, ‘cittadino’ e ‘cattolico’”.
Oggi è arrivato durissimo il commento del giornalista Davide Giacalone, che ha parlato di scuola a Rtl1025: “Prepotente la pretesa di dirmi quali parole usare, grottesca quella di punirmi se declino a casaccio. La pagliacciata del politicamente corretto condiviso e contrapposto. Più che le multe servirebbero le bocciature a scuola. A cominciare dalle coniugazioni, dal congiuntivo e dal condizionale”.
“Immagino ci sia in allegato al disegno di legge un vocabolario sulle declinazioni. Mi dovete dire quindi come devo dire tutte le parole. Si tratta di corbellerie”, ha concluso.
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