Al Liceo Scientifico Statale “Amaldi” di Tor Bella Monaca (periferia di Roma) i docenti interromperanno le lezioni, mercoledì 30 gennaio 2019, per riflettere insieme agli studenti sulle politiche migratorie del Governo, mediante uno “sciopero alla rovescia”.
L’appello, scritto dai docenti per presentare l’iniziativa, riporta tra l’altro queste parole: «Richiedenti asilo o migranti con protezione umanitaria sgomberati con l’esercito da un CARA con un preavviso di 48 ore, alcuni finiti in strada per effetto del nuovo decreto sicurezza, altri trasferiti di forza, costretti ad abbandonare il luogo che li aveva accolti, persone ancora una volta sradicate, bambini strappati alle loro classi, persone malate allontanate dai loro luoghi di cura.
Si può continuare nella nostra routine didattica di fronte a quanto sta accadendo? Chiediamo all’intera comunità scolastica di dare un segnale di preoccupazione e riflessione trasformando le prime due ore di lezione di mercoledì 30 in uno sciopero alla rovescia: fermare la didattica per ragionare e riflettere insieme agli studenti di quanto sta accadendo, leggere i giornali, apprendere e commentare il dibattito di queste tragiche giornate».
È vero: non si può continuare a far lezione quasi nulla fosse. Non si può guardare negli occhi i cittadini di domani senza sensibilizzarli sull’illogicità del mondo in cui saranno costretti a vivere tutta la propria vita. Mostrarsi indifferenti significherebbe insegnar loro indifferenza, nonché ubbidienza alle logiche che governano il pianeta.
Come si può allora non spiegare agli studenti che gran parte dei tantissimi migranti che in tutto il globo si spostano, con esodi biblici, sono spesso profughi ambientali, costretti lasciare le proprie case a causa del riscaldamento globale? Secondo alcuni calcoli (comunque ottimistici) gli umani in fuga da alluvioni, siccità e carestie saranno non meno di 140 milioni entro il 2050. Come si può, allora, non spiegare agli studenti che il problema ambientale e climatico è già ora “il” problema? Il disastro nei prossimi decenni ci coinvolgerà tutti, e riguarderà soprattutto loro, i giovanissimi, che in questo pianeta malato dovranno vivere molto più a lungo di chi oggi è adulto!
In Australia, uno dei granai del pianeta, da mesi nel Sud (la zona temperata) si registra un caldo micidiale, mai registrato prima, con temperature di 48° C, e conseguenti incendi e danni permanenti agli ecosistemi; nel Nord invece alluvioni sconvolgenti mietono vittime.
Ovunque in Italia le coste sono sottoposte ad un processo accelerato di erosione, che vede il mare avanzare. L’Italia è tra i Paesi più colpiti dal disastro climatico, con quasi 50 miliardi di euro perduti nel settore agricolo negli ultimi 20 anni.
Altro problema che pochi conoscono è quello del permafrost siberiano. Tutti sanno che la Siberia è ricchissima di gas metano. Quello che non tutti sanno è che gli immensi giacimenti metaniferi siberiani sono sigillati dal permafrost, terreno ghiacciato da migliaia di secoli, impermeabile al gas. Ora, causa del riscaldamento globale, il permafrost si sta sciogliendo. Tra non molto, quindi, il metano intrappolato sarà libero d’invadere l’atmosfera. Orbene, come abbiamo già spiegato, il metano è il gas serra più potente, attualmente meno pericoloso perché scarsamente presente in atmosfera. Dunque se si scioglie il permafrost siberiano siamo fritti. Letteralmente. Lo dicono i TG?
Dispiace suonare allarmisti, ma la funzione di chi è a conoscenza di un pericolo (soprattutto se insegnante, e capace di pensiero libero) non può che essere quella di dare l’allarme per la salvezza collettiva. Se si continua ad ignorare il grave rischio che corriamo, forse i nostri figli non vedranno la fine dell’umanità, ma i loro figli e nipoti sicuramente sì. Infatti, se supereremo l’aumento medio globale di cinque gradi centigradi, l’umanità non sopravvivrà a un cambiamento tanto drastico e veloce. Sopravvivranno (forse) ratti, scarafaggi e poche migliaia di umani imbarbariti, asserragliati intorno ai poli. Sarà la fine, comunque, della civiltà umana, paragonabile alla notte nucleare che seguirebbe ad un’eventuale Terza Guerra Mondiale.
Nel 1947 gli scienziati della rivista dell’Università di Chicago Bulletin of the Atomic Scientists crearono il Doomsday Clock (in italiano Orologio dell’apocalisse): un orologio allegorico che misura la minaccia di una possibile fine del mondo incombente sul genere umano.
Il rischio è misurato mediante l’immagine di un orologio metaforico la cui mezzanotte rappresenta la fine del mondo; i minuti antecedenti raffigurano la lontananza presunta dalla catastrofe. Da principio la mezzanotte simboleggiava unicamente la guerra atomica; dal 2007, invece, essa valuta qualunque avvenimento possa condannare il genere umano. Tra cui il global warming, che ha fatto arrivare nel 2017 le lancette dell’orologio alle 23,57 e 30”. Attualmente siamo alle 23,58.
Gli scienziati di tutto il pianeta dunque sanno bene cosa ci attende se almeno una larga parte dell’umanità non diventa subito consapevole del pericolo; e soprattutto se chi è consapevole non s’impegna da subito per obbligare i potenti della terra a cambiare drasticamente ed immediatamente rotta. Sapremo noi umani compiere uno scatto di reni e lottare contro un destino altrimenti tragico?
Saprà il mondo della Scuola reagire, unendo genitori, studenti e docenti nello sforzo per salvare la civiltà umana?
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