Le tante criticità della “Buona Scuola” vengono al pettine una ad una. Adesso sono i dirigenti a protestare, perché i loro super poteri sono a corto di risorse e la realtà è molto ingarbugliata.
È da un po’ che l’Anp sta tambureggiando con bollettini di protesta, perché i dirigenti si sono trovati con un “superlavoro al limite dello stress psico-fisico”, mentre delle specifiche risorse destinate alle maggiori incombenze finora “si è persa ogni traccia” (35 milioni di euro annui dal 2016 e 12 milioni per l’anno 2015, stanziati dalla legge 107 per il Fondo unico nazionale dei Ds).
La protesta tuttavia investe anche altri aspetti, sempre legati alle esigue risorse, come leggiamo nel comunicato Anp del 4 marzo: “la complessità dell’attività dirigenziale è giunta ad un livello tale da ritenere improcrastinabile, tra l’altro, la creazione di un middle management stabile, costituito dai docenti più motivati e preparati. Questo è uno strumento ormai assolutamente indispensabile per la nuova governance delle scuole e per far fronte all’enorme mole di lavoro. La Legge 107 ha posto le premesse per il suo riconoscimento giuridico, ma è necessario ora trovare le risorse da mettere a disposizione del dirigente per compensare il lavoro di collaborazione”.
In realtà la legge 107 ha cancellato del tutto ogni figura intermedia costruita su un percorso di competenza abbastanza oggettivo e documentabile, che pure era stato delineato in prima battuta. Quali siano i “docenti più motivati e preparati”, per affiancare il dirigente e “far fronte all’enorme mole di lavoro”, lo decide lo stesso dirigente. Sono spariti i crediti didattici, formativi e professionali che avrebbero potuto dare luogo agli “scatti di competenza” (respinti con forza per il semplice motivo che andavano a sostituire totalmente gli scatti di anzianità ed erano finanziati solo con quel budget). È sparito anche il “docente mentor”. La nuova legge ha compresso i docenti sull’appiattimento a vita, senza alcuna possibilità di progressione di carriera stabile e ben definita.
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D’altra parte però, il dirigente scolastico può costruirsi il suo middle management di fiducia (che i gufoni chiamano “corte” o “clan”). Il preside infatti “può individuare nell’ambito dell’organico dell’autonomia fino al 10 per cento di docenti che lo coadiuvano in attività di supporto organizzativo e didattico dell’istituzione scolastica”.
Ma… c’è un bel ma: “Dall’attuazione delle disposizioni del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Qui sta l’inghippo. La coperta è troppo corta. Le risorse sono troppo poche e molto contese.
Il famoso bonus di 200milioni di euro destinato a “valorizzare il merito” dei docenti prevede tre ambiti di riferimento: la qualità dell’insegnamento, i risultati ottenuti in relazione alle competenze degli alunni, e “le responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico”. È logico a questo punto pensare che i dirigenti faranno di tutto affinché siano approvati criteri tendenti a premiare soprattutto il coordinamento organizzativo e didattico, con qualche mancetta di pochi spiccioli a quelli che in classe tanto lavorano per sviluppare le competenze dei propri alunni.
Ma l’operazione di premiare direttamente i propri fiduciari non è così semplice. I sindacati rivendicano il diritto alla piena contrattualità del lavoro, come prevede l’articolo 39 della Costituzione, compreso il salario accessorio e quindi il bonus. E su questo terreno non sembrano disposti a cedere.
Insomma la legge 107 è entrata in vigore, ma la sua attuazione naviga tra gli scogli.
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