Il Rapporto Invalsi 2019 conferma alcune costanti. Ma contiene anche delle novità interessanti. E’ quanto risulta dai dati campionari di quest’anno, derivanti dalle prove realizzate tra il 4 marzo al 18 maggio scorso da oltre due milioni di allievi: ne abbiamo parlato con Anna Maria Ajello, presidente dell’Invalsi.
“I dati campionari del rapporto di quest’anno – ha spiegato Ajello nel giorno della presentazione dei risultati annuali – sono dati che confermano delle cose che sappiamo, vale a dire che ci sono dai dati meno soddisfacenti al Sud, anche nel caso della prova del quinto anno della maturità del quinto anno”.
“Ma c’è stato anche un cambiamento positivo tra l’anno scorso e quest’anno negli altri livelli scolastici: per esempio – ha sottolineato Ajello – nell’ottavo grado, la terza media, c’è un miglioramento leggero, ma un miglioramento, nei dati che riguardano per esempio l’inglese, su listening e nel reading”.
“Ciò significa che avere acceso i riflettori su questa disciplina, facendola diventare oggetto di prova Invalsi, in realtà ha fatto in modo che si prestasse attenzione a degli aspetti che tradizionalmente erano trascurati, come l’ascolto, piuttosto che la lettura e la traduzione”.
“In generale – ha continuato la presidente Invalsi, che è anche docente universitaria -, si può dire che i dati dell’Invalsi offrono molte informazioni dettagliatissime su cosa funziona, dove funziona; e cosa non funziona e dove”.
“Ci sono molti Sud, non c’è solo un Sud, anche se in realtà ci sono delle regioni meridionali dove i risultati sono costantemente insoddisfacenti”.
A proposito della risposta non sempre positiva dei docenti nel fare svolgere i test nelle ore di lezione, con casi limite di insegnanti che si rifiutano e vengono pure sanzionati, per la dottoressa Ajello “si può affermare con una certa sicurezza che le prove Invalsi sono accettate”.
Lo dimostra “il fatto che i diciannovenni e diciottenni della quinta superiore, avevano anche l’opportunità di non farla, dal momento che” da quest’anno la prova Invalsi “non era più un pre-requisito per l’accesso all’esame di maturità. E invece hanno scelto di farle”.
Questo significa che bisogna considerare “positivamente il senso di responsabilità dei nostri ragazzi di 19 anni, sicuramente non influenzabili dal suggerimento del docente o dei genitori. Quindi, hanno assunto una responsabilità di fare queste prove”.
Secondo la presidente Invalsi, “questa per il Paese è un’informazione importantissima. Perché di questi giovani si parla di ragazzi evanescenti che non assumono responsabilità, di bambinoni un po’ troppo cresciuti”: hanno fatto loro, invece, “l’assunzione di responsabilità nel fare la prova, sapendo bene che dopo la scuola comincia l’Università, un periodo in cui le prove sono addirittura più frequenti. E questo secondo me è un buon inizio della maturità dei nostri studenti”, ha concluso la presidente Invalsi.
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