I titoli dei giornali di questi giorni ripetono in modo monotono ciò che da dieci anni a questa parte rilevano le Prove Invalsi: un “ritardo” nell’acquisizione delle competenze di base degli alunni del Sud rispetto a quelli del Nord.
Ogni volta si riempiono pagine e pagine dei quotidiani, quest’anno con la differenza che la maglia nera non è più solo della famigerata Scuola Secondaria di Primo grado ma i risultati non sono migliori e\o brillanti nemmeno alla conclusione della Scuola Superiore.
Il problema di queste prove (che hanno un notevole costo per l’erario) è quello di proporre dei format avulsi dal contesto socio – culturale che investe, non solo le famiglie, ma anche i docenti che a loro volta dovrebbero essere gli agenti culturali che veicolano il sapere stesso.
Se non si affondano le mani nel mondo nel quale avviene la preparazione degli studenti non sarà mai possibile nessun cambiamento.
A proposito, in particolare, della lingua italiana ci siamo chiesti qual è la “lingua” che viene utilizzata in famiglia? Quali sono le strutture sintattiche e la proprietà lessicale degli stessi docenti? Quali sono, quindi, le richieste verso i discenti? Qual è il peso di un errore grammaticale e\o sintattico nella correzione e poi valutazione di un testo?
Anche l’uso dei tempi verbali nella conversazione ed esposizione orale nelle diverse parti d’Italia si differenzia in modo evidente e la zona di provenienza gioca un ruolo importantissimo sull’uso coerente e corretto della “consecutio temporum”.
Insomma, i grandi titoloni dei giornali non servono a nulla se non si danno degli obiettivi di miglioramento nel concreto dell’azione didattica. Il tentativo di dare tabelle di correzione univoche per le prove scritte dell’Esame di Stato va timidamente in questa direzione …
Ma ancora molto lavoro è da fare e forse l’unica strada è quella della differenziazione delle Prove Nazionali con obiettivi specifici per il Centro\Nord e per il Sud che dovranno essere diversi e monitorati secondo criteri stabiliti anche in relazione al contesto ed al punto di partenza.
Allo stesso modo nella scuola superiore le prove andranno differenziate in relazione alla tipologia: licei, tecnici, professionali. Per ognuno andranno stabilite delle soglie (anche sulla base delle richieste e delle competenze inserite negli specifici programmi) e su quelle si potranno trarre delle conclusioni e quindi approntare strategie di miglioramento specifiche.
Insomma, mi chiedo che senso ha proporre gli stessi testi ad un liceale e ad un ragazzo che ha scelto una scuola professionale? In entrambi i casi si può parlare di talenti sprecati.
Nel primo caso le prove risulteranno troppo accessibili per la formazione di base dello studente che risulterà “geniale” e quindi non troverà uno stimolo per migliorare le sue prestazioni mentre nell’altro caso si continuerà a discutere sull’insuccesso degli studenti che frequentano un grado di scuola nel quale, probabilmente, la lingua letteraria non sarà così macinata come la lingua tecnica o d’uso comune.
Se si vuole che queste prove abbiano un senso, dopo tanti anni, è necessario un cambiamento radicale se no rappresenteranno ancora la solita, continua, inutile, manfrina.
Rita Ferri
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