Esattamente un anno fa, il sindacato Uil Scuola aveva dichiarato che le prove Invalsi sono costate 4 milioni e 900 mila euro, con un bilancio di circa 18 milioni di euro, cifre che non possono passare inosservate mentre tutto il personale della scuola rivendica da anni risorse per migliorare condizioni economiche e stabilità.
L’Ufficio Comunicazione del sindacato aggiungeva poi che il tutto è finalizzato a fornirci una sola e unica indicazione. Quale? Che la scuola italiana non funziona. Di soluzioni concrete che possano risolvere i problemi citati, neanche l’ombra.
E concludeva sottolineando come nessuno – docenti, alunni, famiglie – credesse nella reale efficacia di questi test che, dunque, sembravano al momento rappresentare un investimento costoso e inefficace.
A distanza di un anno, un paio di giorni fa, Il Fatto Quotidiano pubblica l’intervento di Alex Corlazzoli – docente, giornalista e scrittore – che rincara la dose descrivendo le prove Invalsi come “la solita solfa” che non serve a niente e a nessuno, se non a sprecare denaro pubblico che potrebbe essere utilizzato in modo più proficuo.
Corlazzoli, che l’anno scorso ha pubblicato con Einaudi “Tutti in classe” in cui racconta la vita dei suoi alunni, mette in evidenza il fatto che, fin dalla primaria, dal 2022 continua a diminuire la quota di alunni che raggiungono almeno la fascia base in italiano e matematica e che i divari territoriali rimangono molto ampi. In alcune regioni del Mezzogiorno – scrive Corlazzoli – si riscontra un maggior numero di studenti con livelli di risultato molto bassi: in particolare, solo il 48% dei ragazzi della macro-area Sud raggiunge almeno il livello accettabile in matematica e tale percentuale scende drammaticamente al 39% nel Sud e Isole.
Con un dato nuovo – e per niente incoraggiante – che appare nell’ultima rilevazione: anche al Nord le cose iniziano ad andare male. L’Invalsi per la prima volta, con dei grafici chiari, ci mostra che per il Nord e il Centro c’è un progressivo peggioramento. Nel Nord Est e Ovest ogni anno, in italiano, si registra la perdita di un punto percentuale nei traguardi del livello base tanto da far dire all’Istituto romano che “si osserva un preoccupante calo”. Decremento che è di otto punti percentuali in meno rispetto al 2019.
La proposta di Corlazzoli è molto semplice: considerato che nulla è cambiato in questi anni e che le competenze dei nostri studenti rimangono stabili (in basso…), perché non investire questi quattro milioni e 600 mila euro per la formazione alla didattica della matematica e dell’italiano nelle scuole dove Invalsi ha rilevato dei deficit, anziché somministrare i test?
Insomma, una sorta di “fermo biologico” di un anno. Nel 2026, poi, si potrà valutare l’impatto di questo investimento… con altre prove Invalsi.
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