Attualità

Prove Invalsi, risultati deludenti: e se fosse colpa proprio della ricerca di “competenze” a discapito delle conoscenze?

Il declino dei risultati emersi dalle indagini Invalsi si registra in realtà da molti anni, ben prima della necessità di ricorrere alla Dad e/o alla Ddi.

Subito dopo la diffusione dei risultati delle prove Invalsi tenute durante l’anno scolastico da poco terminato, i dati non particolarmente brillanti – soprattutto in alcuni contesti regionali –  sono stati da diversi mass media attribuiti alla “pandemia” e al conseguente ricorso alla Dad. Ma, a parte il fatto che durante l’anno scolastico appena trascorso non c’è stato un ricorso massiccio alla didattica a distanza (come invece nell’a.s. precedente, anche se i sostenitori di tale tesi fanno notare che comunque le carenze si erano accumulate appunto nell’anno e mezzo precedente), il mancato miglioramento o spesso addirittura il peggioramento complessivo dei risultati emersi dalle indagini Invalsi si evidenzia, come detto, da diversi anni, ben prima della problematica scaturita dalla necessità di ricorrere alla Dad e alla Ddi (Did).

Anche lo stesso Invalsi conferma che il trend è complessivamente peggiorato da almeno una decina di anni

Lo conferma un’analisi fatta dallo stesso Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione: “alla secondaria di primo grado, pur rimanendo sotto la media dei Paesi Timms” (quelli cioè che partecipano all’indagine internazionale Trends in International Mathematics and Science Study) “i risultati in Matematica sono migliorati fino al 2011 ma da dodici anni il trend positivo si è interrotto”. Sempre per quanto concerne le prove di Matematica, “alle superiori gli studenti 15enni conseguono risultati sotto la media Ocse e dal 2015 pare essersi interrotto il trend di crescita iniziato nel 2006”. Per quanto riguarda “la comprensione della lettura gli studenti 15enni si ritrovano al di sotto della media Ocse da oltre vent’anni e i risultati sono in calo dal 2012”.

A  questo punto va peraltro precisato appunto che quello che viene definito il livello degli alunni in “Italiano” non deve fare pensare ad una classica prova scritta (ad esempio un tema) bensì proprio alla “comprensione del testo” e a una verifica dell’acquisizione di competenze lessicali e grammaticali. Quest’anno per la classe quinta delle scuole di istruzione secondaria di II grado i test Invalsi vertevano su diverse unità di comprensione del testo e su una unità di “riflessione sulla lingua” (ma nessuna domanda di letteratura).

Quali le cause del regresso? Da non dimenticare decenni di tagli agli investimenti, al personale, persino alla didattica

Ma allora quali sono le reali cause che hanno determinato questo declino? Sicuramente va tenuto ben presente un dato: decenni di tagli, non solo in termini di scarsissimi investimenti nella scuola e di riduzione del personale, ma con la riforma Gelmini (che ha preceduto di poco tempo quello che lo stesso Invalsi ha evidenziato come interruzione del precedente trend positivo in Matematica e il calo dei risultati nella comprensione della lettura) anche di pesanti tagli delle ore di insegnamento nei percorsi di studio degli istituti tecnici e degli istituti professionali (con una riduzione anche di un terzo delle ore per discipline di indirizzo).

C’è invece chi addossa la responsabilità a quella che viene definita “una didattica ancora molto trasmissiva e poco coinvolgente” e chi riferendosi agli esami di Stato afferma che se “togliamo l’ansia che sempre accompagna queste prove, non resta poi molta sostanza, sul piano didattico e culturale, a questi esami” (l’ansia come valore aggiunto?!) e il vecchio refrain dell’”esame finale come cruna dell’ago tra adolescenza e giovinezza” (tra l’altro un accostamento non particolarmente attinente alle prove Invalsi). Per migliorare la situazione si scrive che “non bastano le sole prove Invalsi sugli apprendimenti”, e su questo siamo d’accordo, ma poi comprendiamo che la lunga premessa era per arrivare a una conclusione: “non è più possibile un sistema di reclutamento del personale centralizzato, mentre le scuole tutte devono diventare scuole delle comunità locali”.

Noi siamo invece per la scuola pubblica statale, che tanto lustro ha dato nel secolo scorso all’Italia (la vecchia scuola elementare per esempio era un “fiore all’occhiello” della scuola italiana, stimata anche a livello internazionale).

Sondaggio: per gli insegnanti occorre eliminare le “classi pollaio”, meno “progetti” e tornare a fare scuola come una volta

E personalmente concordo con quanto espresso dalla maggioranza dei docenti (i riferimenti precedenti non sono espressione di personale insegnante) che hanno partecipato al sondaggio de “La Tecnica della Scuola” sulle cause degli esiti insoddisfacenti delle rilevazioni Invalsi. In primo luogo si sottolinea da parte degli insegnanti la necessità di classi meno numerose, eliminando le cosiddette “classi pollaio” che non consentono di seguire con la dovuta attenzione i vari alunni e di sviluppare un adeguato percorso didattico. Inoltre, “priorità alla didattica: tornare a fare scuola come una volta, basta con tutti questi progetti fatti durante le ore curricolari, serve che i ragazzi studino e che la società tutta dica che studiare fa bene e serve”. E quindi “meno progetti e più lezioni”; e poi “dare il giusto valore all’impegno”, magari aiutando un ragazzo che mostra attenzione, partecipazione in classe e assiduità nello studio anche se non riesce a ottenere un risultato pienamente sufficiente, ma valutando doverosamente coloro che invece non si impegnano affatto (ovviamente si deve cercare di motivare anche questi alunni).

Nel sondaggio, solo il 10% circa dei docenti per migliorare la situazione vorrebbe invece una didattica più attiva e meno tradizionale (cioè meno legata alla “lezione frontale”).

Infine, tra i lettori che, magari senza partecipare al sondaggio, hanno scritto sul tema dell’esito delle prove Invalsi, qualcuno mette in evidenza che un problema legato anche al rendimento degli studenti può essere attribuito a una certa “categoria” di “genitori invadenti”.

Un docente evidenzia: ormai tanti alunni non imparano adeguatamente le tabelline e non conoscono le regole grammaticali

E a proposito di interventi, nella rubrica “I lettori ci scrivono” abbiamo letto quanto sottolineato da un docente: “È necessario fare un passo indietro potenziando lo studio” anche ”per la matematica e per lo sviluppo delle competenze logico-matematiche con studenti che fanno enorme fatica a risolvere problemi ed esercizi di algebra e di geometria, oppure non ricordano le tabelline”. E poi “Sos grammatica italiana! Le recenti notizie sugli adolescenti quindicenni che non sanno comprendere un testo scritto e riportano errori grossolani negli scritti perché non conoscono le regole grammaticali. Occorre, pertanto, potenziare e rafforzare in tutti i gradi dell’istruzione, specialmente in quella dell’obbligo della primaria e secondaria di I grado, lo studio della grammatica italiana per evitare che gli alunni compiano vistosi errori di ortografia”.

Ritornando alle rilevazioni delle prove Invalsi, in tema di “eccellenze” un dato particolarmente significativo riguarda il fatto che gli allievi che hanno esiti migliori sono presenti con una percentuale più che doppia tra le famiglie avvantaggiate rispetto a quelle con deprivazione socio-culturale ed economica. Vale al Sud come al Nord, come al Centro Italia, ma forse sotto l’aspetto socio-economico può indurre a qualche riflessione sul perché invece spesso la percentuale di insufficienze nei test Invalsi sia prevalente nelle regioni del Mezzogiorno.

Anche nelle differenze territoriali, i dati sono in linea con criticità pregresse: per la Cisl scuola occorre agire in un’ottica di sistema, perché non si possono lasciare scuole e docenti da soli

E sui dati legati alle differenze tra regioni, si evidenzia che rimangono in linea con la situazione riscontrata dieci anni fa, criticità dunque che anche in questo caso risalgono molto indietro nel tempo. Sulle differenze di risultati complessivi fra le diverse aree territoriali si sofferma anche la Cisl Scuola sottolineando che ridurre i divari è “una priorità su cui occorre un’azione convergente della scuola e di tutti i soggetti, a partire dalle autonomie locali, che ne devono sostenere attivamente l’impegno, impossibile da reggere nella condizione di isolamento in cui troppo spesso le istituzioni scolastiche si trovano ad agire”. Secondo il sindacato guidato da Ivana Barbacci “è indispensabile operare in un’ottica di sistema” intervenendo quindi in modo organico e cioè “con politiche di respiro più ampio, non circoscritte al solo ambito dell’istruzione”.

E soprattutto, aggiungiamo noi, non “a carico” principale del docente, che è un professionista nel suo settore disciplinare (e comunque non un “tuttofare” a cui richiedere di risolvere problematiche che vanno gestite anche nell’ambito familiare e dei servizi sul territorio) e che dovrebbe appunto “insegnare” e determinare negli allievi conoscenze da cui poi, e solo poi, possono scaturite competenze, formando nel contempo cittadini consapevoli e aiutando a sviluppare un pensiero critico.

Andrea Toscano

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