Iniziano giovedì 6 maggio le operazioni per la rilevazione degli apprendimenti diretta dall’Invalsi e la polemica divampa.
I Cobas parlano addirittura di “schedatura razziale e sociale” in quanto quest’anno l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione ha chiesto alle scuole di raccogliere alcuni dati sensibili relativi agli alunni: in pratica per ogni alunno le scuole devono indicare la nazionalità dei genitori, il loro titolo di studio e la posizione lavorativa.
E’ molto probabile che questi dati “di contesto” saranno incrociati con i risultati ottenuti dagli alunni in modo da capire meglio in che modo le condizioni socio-ambientali influiscono sugli esiti scolastici.
In realtà il meccanismo messo a punto dall’Invalsi garantisce ampiamente la riservatezza e soprattutto non dovrebbe far sorgere il dubbio che si possa parlare di “schedatura”.
Vediamo perché: per ciascuno studente le scuole dovranno trasmettere all’Invalsi i risultati ottenuti oltre che i dati di contesto; per l’Invalsi, però, ciascuno studente sarà identificato con un codice numerico che non consentirà in alcun modo all’Istituto di sapere a chi corrisponde un certo risultato o una determinata situazione sociale e familiare.
Il fatto è che solo la scuola ha a disposizione l’elenco degli alunni con i rispettivi codici (è proprio la scuola, infatti, che lo ha predisposto già nei giorni scorsi); ma l’Invalsi ha dato una indicazione precisa: questi elenchi – una volta che la scuola ha trasmesso i dati – dovranno essere distrutti.
E’ del tutto evidente, quindi, che l’unico ente che può eventualmente “schedare” gli alunni è la scuola stessa: ma in realtà questa accusa non ha assolutamente nessun senso, visto che la situazione sociale e familiare è già ben nota alle scuole e in particolare agli insegnanti.
L’altro grande timore è che i risultati delle prove vengano utilizzati per attribuire ai docenti i “compensi al merito” di cui sta parlando da qualche tempo il ministro Gelmini. Ma le difficoltà che si frappongono ad un progetto del genere sono davvero tante, forse troppe e appare improbabile che, almeno nell’immediato, si possano davvero usare i punteggi degli alunni per stabilire stipendi o anche solamente i finanziamenti da attribuire alle scuole.
Il problema delle “prove Invalsi” è semmai un altro: si tratta di un impegno ulteriore al quale le scuole dovranno far fronte senza disporre di risorse aggiuntive. Ma questa, ormai, è una vecchia storia che non fa neppure più notizia.
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