Da tempo la somministrazione delle prove Invalsi nelle scuole del primo e secondo ciclo destano perplessità. Sia perché spesso vengono tacciate di essere prove finalizzate ad omologare ciò che non è omologabile, sia perché troppo spesso vengono utilizzate per mettere indebitamente a confronto l’operato dei singoli docenti invece che per indicare ai singoli Istituti un valido percorso di miglioramento.
La proposta di utilizzare quindi i risultati del test Invalsi sulle competenze di italiano, matematica, inglese in uscita dalla scuola superiore per l’accesso all’università, sembra alquanto inopportuno.
Così come sembra inopportuno avere facoltà universitarie che impongono una selezione in entrata che nega a priori ai nostri giovani la facoltà di tentare un percorso di studi legato alle proprie aspirazioni.
Più che usare le prove Invalsi per selezionare i futuri studenti universitari, sarebbe il caso di ripensare il senso e l’uso che di tali prove si fa nelle scuole.
Scuole ancora restano in emergenza.
Gli Istituti scolastici dopo il 31 marzo rischiano di non veder rinnovati i contratti COVID, continuano ad avere aule sovraffollate, riescono a lavorare in maniera efficace grazie all’impegno di decine di migliaia di insegnanti precari.
Allora è necessario che al più presto il Governo mandi un segnale indicando la possibilità di rinnovare i contratti del personale COVID fino alla fine dell’anno scolastico, riprenda in mano la questione dei precari che insegnano da almeno tre anni, lavori al superamento della legge Gelmini che tagliò centinaia di migliaia di posti nella scuola statale.
Per i socialisti l’obiettivo è agire affinché al centro dell’azione del Governo e dei Ministeri dell’Istruzione e dell’Università restino i nostri giovani e non chi si pone come obiettivo quello di snaturare il senso e lo scopo del sistema universitario e formativo della nostra Repubblica.
Luca Fantò
Referente nazionale PSI scuola, università e ricerca