La sentenza della Cassazione sulla presenza dello psicologo in una classe primaria di Arezzo, potrebbe avere effetti giudiziari non solo nei confronti del dirigente scolastico.
A rischiare di andare a processo sono anche i docenti che hanno coinvolto e accettato lo psicologo tra gli alunni, oltre che lo stesso esperto esterno.
Gli ‘ermellini’, infatti, hanno detto che gli psicologi possono stare in classe solo se i genitori degli alunni sono stati informati della loro presenza e hanno dato il consenso a che i comportamenti dei figli siano sotto osservazione clinica.
In caso contrario, come accaduto nell’istituto toscano ‘Vittorio Emanuele II’, il capo d’istituto, i docenti e lo psicologo che agiscono senza l’autorizzazione dei papà e delle mamme degli scolari commettono il reato di violenza privata.
Ad essere indagati, quindi, riassume l’agenzia Ansa, dopo il non luogo a procedere pronunciato dal gup di Arezzo dell’aprile del 2016, sono cinque dipendenti della scuola: due dirigenti scolastici (che si sono succeduti), i due insegnanti che hanno “ospitato” l’esperto e la psicologa che ha svolto le sue osservazioni.
Intanto, il legale della famiglia, l’avvocato Roberto Alboni, si dice “soddisfatto di questa sentenza, ora il procedimento ripartirà su altri presupposti”.
A richiedere l’intervento dell’esperta erano stati due insegnanti, autorizzati dal dirigente della scuola senza che ne fosse data comunicazione alle famiglie e richiesto il preventivo consenso.
I fatti risalgono all’anno scolastico 2010/11: le maestre facevano fatica a tenere i bambini e verso la fine dell’anno scolastico si decise per l’intervento di una psicologa, da effettuare per due mesi, due volte la settimana, durante le lezioni, proprio per esaminare (questa almeno è l’accusa) il comportamento dei bambini.
La psicologa venne presentata agli alunni come un’insegnante aggiuntiva. Alla fine, la professionista stilò la sua relazione con le valutazioni su ciascun bimbo.
Dopo qualche mese, una famiglia venne a sapere, per caso, durante il colloquio con una maestra, che il figlio, con tutta la classe, era stato sotto osservazione clinica da parte della psicologa della scuola, incaricata di esaminare i bimbi.
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Dell’intervento della professionista, chiesero il rapporto al preside, appena subentrato a un collega. Il quale, però, glielo negò. Il dirigente finì così a processo per omissione di atti d’ufficio e venne assolto nel giugno scorso in appello.
Anche su questo, però, spiega ancora l’Ansa, il legale della famiglia fece ricorso in Cassazione. Precedentemente il Gip Piergiorgio Ponticelli aveva trasmesso gli atti in procura per violenza privata a carico delle maestre e dell’educatore che avevano consentito l’accesso in classe della psicologa. Si arrivò alla preliminare e alla dichiarazione di non luogo a procedere da parte del Gup Annamaria Loprete degli insegnanti. La famiglia, con l’avvocato, fece però ricorso in Cassazione. Che ha acolto la sua tesi.
Il 5 settembre arrivano le motivazioni che segnano la “ripartenza” del caso in chiave processuale. Perché i Giudici Supremi ritengono che quello della psicologa era a tutti gli effetti un trattamento sanitario non autorizzato.
Gli atti vengono ora al Tribunale di Arezzo. Il gup dovrà appurare “se l’attività di osservazione psicologica effettuata nei confronti dei minori abbia avuto carattere impositivo o, in qualche modo, incisivo della sfera materiale e psichica dei bambini”.
Se la psicologa, spiega la Cassazione, ha avuto un ruolo di “consulente” della maestra per suggerirle indirizzi didattici, si può “escludere che l’attività di osservazione potesse interferire nella sfera personale degli alunni e quindi necessitare del preventivo consenso dei genitori”, mentre “non altrettanto può dirsi se oggetto dell’osservazione erano proprio i comportamenti degli alunni e, ancor di più, di alcuni alunni ritenuti portatori di problematiche”.
In tal caso, qualora fosse confermata dal gup questa ipotesi, la posizione dei cinque dipendenti della scuola aretina diventerebbe più difficilmente difendibile.
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