Tutti diciamo male della burocrazia, ma, paradossalmente, tutti la inseguiamo.
Se un po’ di burocrazia è essenziale, per non lasciare le scelte ed i comportamenti solo alla totale discrezionalità dei singoli, troppa burocrazia uccide.
Ma la burocrazia cioè non può esautorare ed esaudire l’etica della responsabilità, secondo una cultura dei risultati. I motivi sono ovvii.
Il problema è che, al fondo, a dominare sono il sospetto e la diffidenza reciproca.
E questi sentimenti stanno decidendo il quanto ed il come di questa invadenza, di contro ad una giusta misura.
Cioè non ci si fida.
Non ci fidiamo gli uni degli altri, per cui, quasi naturalmente, pensiamo in negativo le relazioni ed i comportamenti.
Ma senza un reciproco pensiero positivo diventeremo tutti degli automi, e da qualsiasi centro decisionale si imporranno, prescrittivamente, tutti i nostri modi di essere e pensare, non lasciando margini alla responsabilità personale.
Mentre, si deve partire dalla libertà che si fa responsabilità, per poi prevedere organi terzi di verifica e di valutazione. Terzi anche rispetto alle strutture dello Stato.
Tutto ciò per dire che tutti invochiamo la libertà, ma in realtà abbiamo paura della libertà. Perché è responsabilità.
Perché non si investe dunque su enti terzi di valutazione nella pubblica amministrazione?
Ma in Italia, lo sappiamo, è ancora un discorso impossibile.
Passano i governi, ma questi difetti restano.
Per cui ci teniamo la ministra Bongiorno, la quale pensando che l’aula del tribunale sia tutta la vita, finisce per dire e fare sciocchezze.
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