Accoltella con sei fendenti la professoressa, rischiando di ucciderla. Bocciato, è difeso dai genitori, che ricorrono contro la bocciatura. Non succede nel “Paese di Acchiappacitrulli” nato dalla penna di Collodi, ma nel Bel Paese del 2023, dove il dicastero della Scuola si chiama “ministero dell’istruzione e del merito”.
L’avvocato della famiglia pretenderebbe persino di partecipare allo scrutinio (che vorrebbe riaprire): richiesta illegittima in qualsiasi Paese sano. Inoltre il regolamento d’istituto dell’IIS “E. Alessandrini” di Abbiategrasso (teatro della cruenta aggressione) prevede esplicitamente, in caso di “gravi lesioni alle persone” da parte di un alunno, la sua “possibile esclusione dallo scrutinio finale e/o non ammissione all’Esame di Stato conclusivo del corso di studi”. Essendo il fattaccio avvenuto il 29 maggio, fine anno scolastico, il fanciullo (“uno dei primi della classe”, secondo l’avvocato) non ha neanche potuto salvarsi iscrivendosi ad altro istituto (magari privato) per essere promosso, come nella Penisola suole capitare in casi analoghi. Appigli giuridici zero, dunque.
Come La Tecnica ha già scritto, anche CISL Scuola e ANP Lazio considerano gravissimo l’attentato alla docente. Dal canto suo Stefano D’Errico, Segretario nazionale Unicobas Scuola e Università, ci va giù ancora più duro: «La famiglia dell’accoltellatore prima di tutto dovrebbe vergognarsi, invece di far ricorso. In nessun Paese del mondo qualcuno farebbe ricorso contro la bocciatura di un alunno che ha aggredito a pugnalate la docente. Bisogna che si comprenda la gravità dell’accaduto. Unicobas chiede al famoso Valditara — quello del “merito” — se non ritenga anch’egli di sostenere che la famiglia deve vergognarsi; a meno che per lui la parola “merito” significhi che gli alunni posson fare dei docenti quel che vogliono, visto che così è di moda».
In effetti lo Stivale è ormai rovesciato a tal punto, che presto potremmo ascoltare nei talk show televisivi soloni e “donmilanisti” improvvisati parlar contro la bocciatura del giovane dal coltello facile. In fondo, povero bimbo, non ha ucciso nessuno. E poi, la bocciatura è forse utile? Reprimendo quell’incompreso giovine, lo allontaneremmo dallo studio. E poi chissà la prof come aveva indispettito quel coscienzioso e pacifico studente! In fondo, se uno fa scena muta all’interrogazione, c’è forse bisogno di mettergli 4? Mettigli 6, così almeno lo incoraggi (a far scena muta — perché no? — anche all’interrogazione successiva)!
Mentalità diffusissima (sempre in nome di don Milani, mai letto da quanti lo citano sproposito). Ben pochi politici e politicanti cercano di contrastarla, forse anche per non perdere voti. Risultato: anziché studiare, certi giovani fanno gli “youtuber” e ammazzano la gente con auto da corsa per vantare sul web le proprie imprese. D’altronde, al culto (proprio di tanti siti web neofascisti) del prepotente che si afferma con la violenza ed è “bravo” per questo, fa da controcanto il buonismo di certa “sinistra” politically correct. In mezzo — sopraffatti, calpestati, tarpati — i docenti.
Il ricorso dei genitori, poi, in casi come questo è davvero legittimo? Inoltre, un ricorso contro la non promozione è rivolto contro preside e docenti: non è dunque logico che docenti e capo d’istituto siano difesi automaticamente dall’Avvocatura di Stato? Non sarebbe compito del ministro ribadirlo ed esigerlo? La sua circolare dell’8 febbraio scorso in proposito aveva forse un valore puramente estetico?
Quando si tratta di agire — ad esempio — contro le richieste dei sindacati di base, l’Avvocatura di Stato è sempre presente. Il non attivarla in questo caso, rimettendosi al giudizio del magistrato competente, è decisione politica dal significato evidente, e non certo a favore degli insegnanti.
Automatica dovrebbe scattare anche la denuncia del reato da parte del preside (responsabile legalmente della sicurezza di docenti e studenti), nonché del ministero. In fondo il fanciullo lesto di lama ha terrorizzato i compagni, fuggiti di fronte alla minaccia di una pistola (finta a loro insaputa), e non disposti a difenderlo (circostanza, anche quest’ultima, non irrilevante). Ha inoltre leso gravemente l’immagine della Scuola e di chi deve garantirne vivibilità ed efficacia. Dunque, perché esitare?
Quando si parla di stress da lavoro correlato, bisognerebbe evidenziare la situazione concreta in cui, in un Paese così conciato, i docenti si trovano a lavorare. Classi di trenta alunni, finestre ognora aperte su strade e cortili rumorosi, genitori aggressivi, opinione pubblica ostile, cattedre strutturate senza alcun criterio didattico, pressioni psicologiche da parte di alcuni dirigenti e del loro “cerchio magico”. Come evidenziato anche dal medico Vittorio Lodolo D’Oria, il ministero dovrebbe finalmente render noti i dati sul burnout dei docenti e mettere in atto interventi correttivi.
Già nel 2019 la nostra testata riportava le parole del dottor Lodolo D’Oria: «Sarebbe importante applicare il D.Lgs. 81/08 che, all’articolo 28, prevede la prevenzione e il monitoraggio dello stress lavoro correlato per la tutela della salute dei docenti, un decreto che non è mai stato finanziato. (…) Pochi dirigenti fanno prevenzione e spesso la fanno male, con test anonimi e dalle domande inadeguate».
Parole al vento, in un Paese siffatto. Forse, se lo Stato fornisse i dati sul burnout, funzionari e governanti si vedrebbero costretti a riconoscere i danni inflitti per 30 anni alla Scuola, ai docenti e agli studenti da una politica scolastica miope e distruttiva?
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