Il Tribunale di Bologna, sezione lavoro, con la sentenza 633 pubblicata il 29 dicembre 2020, ha sanzionato la condotta di una professoressa di una scuola superiore che aveva messo in punizione una studentessa, la quale però aveva in precedenza denunciato al preside di aver subito atti di bullismo da parte dei compagni di classe e anche in ambito extrascolastico.
La prof, in modo particolare, si legge sul Sole 24 Ore che riporta la sanzione, anziché indagare e parlarne col preside, aveva isolato la studentessa, le aveva scritto una nota disciplinare, l’aveva costretta a scrivere una lettera di scuse ai compagni e, come se non bastasse, a ripetere una verifica, dopo averle fatto confessare di aver copiato, mentre tutti gli altri compagni scrivevano una lettera al preside riportando i comportamenti negativi dell’alunna.
Da qui la censura del preside, a cui i genitori si erano rivolti, e la conseguente decisione della prof di affidare ai giudici la risoluzione del caso, apportando a sua difesa la finalità di tutelare la ragazza, non di punirla.
E la motivazione della sentenza, scrive sempre Il Sole 24 Ore, è stata chiara: «Ci si chiede cosa avrebbe fatto l’insegnante se avesse voluto sanzionare l’allieva, se per tutelarla la si è umiliata, isolata, messa alla gogna».
È possibile che «per fare del bene si faccia involontariamente del male, ma se dopo la contestazione non si comprendono gli errori commessi allora la censura è davvero una sanzione troppo modesta».
In più i giudici paventano il rischio che in futuro altri prof possano ripetere errori simili, definendo grave la condotta di chi non segnala i fatti al dirigente e non riesce a inquadrare correttamente gli episodi, finendo per isolare la vittima, dimenticando il ruolo preventivo ed educativo degli insegnanti quando si trovano a dover fronteggiare episodi di prevaricazione all’interno della classe. Minimizzare, ridicolizzare o non ascoltare le richieste di aiuto di un alunno rappresentano condotte gravi da parte dell’insegnante che perciò deve essere censurata.
Dare la colpa agli altri, autoelogiarsi, non informare il superiore gerarchico e non ammettere i propri errori fa scattare la mala fede che legittima sanzioni disciplinari anche più gravi della censura.
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