I lettori ci scrivono

Qualcuno salvi la scuola italiana

Le aggressioni fisiche agli insegnanti da parte di studenti e genitori hanno riportato al centro del dibattito politico il tema della scuola con l’enfasi derivante dalla scadenza elettorale e dall’incertezza sulla direzione che prenderà il voto di un elettorato considerato orientato a sinistra ma in realtà piuttosto mobile.

Nel corso di una trasmissione televisiva si sono confrontati sull’argomento esponenti della maggioranza e dell’opposizione, fra i quali, a rappresentare Forza Italia, Elena Centemero, portavoce della politica scolastica del centrodestra.

Tutti d’accordo nel riconoscere l’importanza della scuola, tutti d’accordo nel recriminare la perdita di prestigio e di autorevolezza del docente italiano e nell’ammettere che la causa principale è da cercare nel suo progressivo smottamento sociale. Cosa ci si può aspettare dalla sinistra lo rivela la difesa della legge sulla buona scuola varata dal governo Renzi: nemmeno l’ombra di autocritica o ripensamenti. A nulla sono serviti le denunce dei guasti provocai dai bonus, le disfunzioni e il caos creati da assunzioni condotte in maniera irrazionale, l’evidenza di un malessere diffuso, la stessa rottura fra sindacati confederali e autonomi in occasione del contratto; a sinistra si continua ottusamente sulla strada che ha portato la scuola italiana allo sfascio.

Diventa allora indispensabile rivolgersi dall’altra parte, ascoltare la voce dell’opposizione, vedere quali risposte vengono date, quali proposte vengono suggerite per uscire dal pantano in cui si trova la scuola. Ed ecco allora la voce della Centemero, la voce del centrodestra. Che prende atto che gli stipendi degli insegnanti italiani sono al livello di quelli greci, perfino inferiori agli spagnoli e rappresentano un’anomalia nei Paesi dell’Ocse.

Ma, dice, non si possono distribuire aumenti a pioggia, sia mai che i docenti anneghino nel benessere. Bisogna premiare il merito e riservare ai meritevoli una retribuzione più consistente. Chi sono i meritevoli? Sono i membri dello staff che affianca il dirigente, i capi dipartimento, i coordinatori di materie e di indirizzo, i coordinatori dell’alternanza scuola-lavoro, i responsabili dei progetti.

La Centemero è così riuscita a sintetizzare tutti i mali che affliggono la scuola del terzo millennio, dalla burocratizzazione, alla aziendalizzazione, ai progettifici fino a quella buffonata che è l’alternanza ma, invece di impegnarsi per eliminarli, si propone di incancrenirli e di premiare chi si presta ad operare sul campo per renderli irreversibili e neutralizzare quel che di buono ancora vi rimane emarginando gli insegnanti che intendono semplicemente fare il proprio lavoro. Non una parola sulla necessità inderogabile di porre fine all’attuale disastroso sistema di reclutamento dando finalmente vita ad un sistema chiaro e definitivo di formazione e selezione del personale docente sulla base di precise competenze disciplinari.

Non una parola sulla necessità inderogabile di porre fine allo iato fra docenti di scuola superiore e universitari e di prevedere percorsi distinti fra ricerca e insegnamento. Non una parola sulla necessità inderogabile di separare un percorso di istruzione da quello della formazione professionale, che consentirebbe di raccordare scuola e mondo del lavoro in modo ben più serio di quanto faccia l’alternanza scuola-lavoro, non una parola sulla necessità inderogabile di semplificare e razionalizzare i programmi della scuola primaria, diventati ora la proiezione grottesca di quelli della scuola secondaria o di ricondurre a limiti ragionevoli orari e carichi disciplinari nelle scuole di ogni ordine e grado.

L’insegnamento va restituito alla sua originaria relazione docente-discente, ne va restaurata la centralità rispetto ad altre funzioni che la scuola è portata a ricoprire nella società e all’insegnante va assicurato il ruolo di perno e protagonista assoluto dell’istituzione scolastica: ma tutto ciò sfugge alla signora Centemero. Nessuna parola sulla riduzione della scuola a servizio, al pari di una palestra o di un circolo ricreativo, un servizio che i genitori interpretano come custodia o succedaneo della loro incapacità di provvedere ai bisogni educativi dei figli. La scuola, da quella elementare all’università, è l’istituzione che garantisce identità e continuità culturale oltre che il know-how necessario per mantenere alto il livello della società civile e garantire la competitività del Paese sul piano economico produttivo e dell’innovazione. Ma anche questo sfugge alla portavoce del liberalismo italiano.

La scuola l’hanno affossata insegnanti affamati quanto impreparati, esecutori passivi o solerti di scelte pedagogiche sciagurate, impegnati a inseguire l’oggettività nelle loro valutazioni con ridicole griglie, costretti dal bisogno a piatire il bonus elargito da dirigenti usciti da concorsi taroccati, ridotti a utenti finali del business editoriale che impone testi inqualificabili; l’ha affossata una sinistra che ha piazzato all’università gli scarti della politica, ha imposto la distinzione di status fra dirigenti e docenti, ha equiparato nei contratti e nelle retribuzioni i docenti ai bidelli e agli applicati di segreteria, ha consentito che fosse più pagato un segretario fornito di licenza media, pomposamente chiamato direttore dei servizi generali e amministrativi, rispetto a un laureto in ingegneria che insegna macchine in un istituto industriale.

E i sindacati al servizio della sinistra si affannano a dimostrare che l’insegnante italiano lavora tanto e si merita un euro in più in busta paga per una serie di incombenze che nulla hanno a che fare con la trasmissione del sapere: collegi in cui si conciona del nulla, riunioni per materie, di dipartimento, di plesso assolutamente inutili, tempo perso per la stesura dei programmi – come se questi dovessero cambiare in continuazione – , per la valutazione e per tutte le altre corbellerie che frustrano e amareggiano chi intenderebbe semplicemente fare bene il lavoro che ripropone il magistero socratico ed è inscritto nel patrimonio genetico oltre che culturale dell’umanità intera.

Non bastava un ministro semianalfabeta che, non sapendo dove mettere le mani, vuole impedire ex lege relazioni amicali fra docenti e discenti, inorridita dal rinnovarsi dello scandalo di Abelardo e Eloisa ma indifferente di fronte a genitori che insultano e malmenano gli insegnanti dei loro rampolli feriti da un rimprovero o a un ragazzino che accoltella la prof che pretende di interrogarlo. Un ministro che si accoda ai dementi che vorrebbero eliminare la cattedra, considerano la lezione un reperto di antiquariato e cinguettano di ricerca-azione senza averne la minima cognizione, sdogana smartphone in classe in ossequio alla tecnologia e abolisce il voto in condotta.

Ci potevamo illudere che spazzando via la sinistra dopo il 5 marzo ci si sarebbe liberati non solo del ministro ma da tutte le scorie del Sessantotto e si aspettava dalle parole della forzista la promessa di una svolta radicale e invece guardi la Centemero e vedi la Malpezzi e ti cascano le braccia. E hai la conferma di qualcosa che hai sempre sospettato, che all’interno di questo sistema non c’è alternativa, che la sinistra non è una delle parti nel gioco della democrazia ma è ormai una categoria dello spirito o, piuttosto, un decadimento dello spirito, è la vittoria dei mediocri, il potere dei peggiori che sta portando il Paese alla rovina. E che della scuola non importa niente a nessuno.

Mi sento di rivolgere un appello a quel che rimane di sano, serio e responsabile in tutti gli schieramenti politici: la scuola, l’università, la ricerca sono vitali per un Paese che non voglia essere respinto definitivamente ai margini e non possono essere affidate alle Centemero, alle Malpezzi o alle Aprea di turno. Bisogna coinvolgere e responsabilizzare il meglio della nostra cultura e dell’accademia e che non si ripeta più lo sconcio di mettere al vertice del ministero che fu guidato da Benedetto Croce e da Giovanni Gentile un boy scout, la moglie di un petroliere, un’avvocatessa mancata o una sindacalista del tessile.

Alessandra Lupetti 

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