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Quale bilancio dei primi sei mesi di Marco Bussetti? Alcune riflessioni

Dopo circa sei mesi dal suo insediamento, è venuto il momento di fare un primo tagliando al Ministro dell’Istruzione Bussetti. Naturalmente stiamo scherzando: non si fanno i tagliandi alle persone. E poi Bussetti ci è stato simpatico fin dall’inizio.

In primo luogo perché è un insegnante, forse il primo, almeno a nostra memoria, a diventare ministro dell’istruzione. Durante la Prima Repubblica veniva nominato in quel dicastero qualcuno a cui bisognava dare qualcosa: non si sapeva bene cosa, e allora lo si metteva lì, dove rimaneva in un newtoniano stato di inerzia fino alla fine della legislatura.

Durante la Seconda, vi si collocavano personaggi nominati da Presidenti del Consiglio che per motivi diversi avevano con gli insegnanti dei conti in sospeso: chi perché li riteneva tutti comunisti, chi perché li considerava delle pecore matte bisognose di una bella regolata. Tornando a Bussetti, primo ministro della scuola della terza repubblica, ci è piaciuto anche per certe esternazioni fatte a lume di buon senso, quel buon senso che si matura nel contatto con i ragazzi sporcandosi la giacchetta con la polvere del gesso, insomma confrontandosi con i problemi reali e non con le ubbie dei pedagogisti.

Esternazioni che diventano, a volte, fatti concreti. Per esempio quando scongiura il rischio che i risultati delle prove INVALSI confluiscano come un rivolo inquinante nel voto degli Esami di Stato, alla faccia di tutti gli amanti dei quiz a crocette. O quando limita le ore di alternanza scuola-lavoro, ricordando agli immemori che la scuola è luogo di formazione umana e culturale, e non l’anticamera di Manpower. O infine quando subordina al consenso delle famiglie la partecipazione dei figli minorenni a “ore extracurriculari” di opaco contenuto.

Ma possiamo immaginare che un simile sorridente ciclone abbia trovato, nei sacri penetrali di viale Trastevere, delle incrostazioni e delle resistenze. Le quali, dopo un primo momento di sconcerto, hanno serrato le fila e sono passate al contrattacco. Ed ecco che sono riemersi vecchi vizi in stile “tre i” o “buona scuola”, che poi sono le classiche due facce della stessa medaglia, oppure in stile familistico di marca vetero democristiana. Appartiene a quest’ultimo, ad esempio, la recente circolare che invita gli insegnanti a limitare i compiti per le vacanze di Natale, in modo da “permettere ai ragazzi di passare più tempo in famiglia”. Dubitiamo che la diffusa incomunicabilità far le generazioni possa essere sanata da questo espediente, anche perché lo studente medio, libero da compiti, tende a sciamare verso sale giochi o discoteche, o altri luoghi che considera più ameni della propria cameretta. Ma transeat: in fondo la questione non è così importante, e poi osserviamo cristianamente che l’intenzione era buona.

Da prendere molto sul serio, invece, è la modifica della seconda prova dell’Esame di Stato. Qualcuno dovrebbe spiegare al Ministro che il Liceo Classico è da sempre il bersaglio preferito di pedagogisti e didattisti di impronta deweyana, dei quali si riconosce  la manina nel progetto in questione. Il fatto è che il LC è l’esatta antitesi della scuola pragmatica e burocratizzata, e così vogliono distruggerlo, sostituendo lo “studio incumbere” con saperi leggeri e finalizzati al problem solving. Così si spiega l’idea nefasta di sostituire la traduzione dal Greco e dal Latino con i ben noti quiz a risposta chiusa: “Cosa dice Melibeo a Titiro sdraiato sotto l’ombra del faggio?” 1) Non fai niente tutto il giorno; 2) Smettila di suonare il flauto, tanto non sei capace; 3) Che caldo fa oggi, fammi un po’ di posto 4) Fuggo dalla mia patria.

Anche l’atteggiamento nei confronti dei DS è un po’ ondivago: da un lato inibisce loro, giustamente, la famigerata chiamata diretta che sotto il governo Renzi autorizzò alcuni dirigenti a chiedere di corredare la domanda di lavoro con dei book attestanti la presenza scenica, dall’altra regala un contratto che proietta i nostri ex presidi nell’olimpo dei capi d’istituto più pagati d’Europa, allargando ancora di più il solco fra i bramini e i paria. Ma questa è una vecchia storia, che non inizia con Renzi, ma almeno con Brunetta: similia cum similibus congregantur.

A questo punto si impone la domanda: ha Bussetti al suo fianco, vogliamo dire non al Ministero, ma nella Lega, persone in grado di consigliarlo? Ha insomma dei consiglieri politici esperti nel settore? Presto detto: no, non ne ha. Coloro che gli stanno accanto sembra abbiano avuto con la scuola, con gli studi, e con gli insegnanti in particolare, grami e conflittuali rapporti.

Neppure egli può guardare oltre lo steccato e scegliersene qualcuno,  tanto per non fare nomi un Claudio Risè o un Vittorio Lodolo D’Oria. Non può, comprensibilmente, perché incontrerebbe il risentimento dei propri compagni di partito. E così si ritrova nella stanza ministeriale come fosse a Fort Alamo, combattendo con il suo buon senso contro consolidate suggestioni aziendalistiche. E sperando di non fare la fine di Davy Crockett.

Alfonso Indelicato – responsabile della comunicazione AESPI

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