Dovremmo seriamente chiederci quale destino vogliamo assegnare alle nostre scuole.
Dobbiamo farlo necessariamente tutti; questo compito è di tutta la società e non solo dei politici di professione, degli insegnanti e dei ragazzi. È un compito gravoso, perché si tratta oramai di abbattere e ricostruire daccapo quell’edificio decrepito, abusivo ed arraffazzonato che è divenuto negli anni la scuola italiana. La sua malandata architettura materiale è infatti sintomatica della sua decadenza o anemia culturale.
Ho la vaga impressione che essa sia stata messa a serragliare i giovani, anziché a formarli, che sia divenuta la balia d’Italia, anziché il suo avvenire.
Ho la vaga impressione che sia stata ridotta a museo delle scartoffie e delle cosiddette buone pratiche, a cui il capo del Governo dedica sempre l’ultimo dei suoi sventurati Ministri.
Tutto ciò di cui essa ha bisogno arriva sempre da fuori, minestra riscaldata del giorno prima.
Un tempo le scuole e le università erano esse stesse fucine, produttrici nel bene o nel male.
Oggi basta farsi un giro per qualche scuola e rendersi subito conto che è truccata, malamente rifatta. Gli alfieri strombazzano come successi ed innovazioni le previsioni di due secoli fa: gli autori, le materie, i tempi, i metodi sono sempre gli stessi fuori e dentro le UDA. Non basta collegarsi ad un webinar per essere innovativi ed al passo con i tempi, o girare per ore a raccattare CFU tra la sede di una associazione degli sconosciuti, la fabbrica degli onesti ed il seminario del Dott. X. all’Università che non ce la fa. Bisogna rimettere assieme il contenuto con la forma, il lavoro all’opera, la fatica e la gioia. È necessaria una seria riflessione sul ruolo che questa società intende assegnare alla scuola.
Se essa deve semplicemente intrattenere, almeno costruiamoci – dico io – il Liceo Marilyn Monroe di quel famoso film di Nanni Moretti e non la supercazzola di Tognazzi!
Se invece essa deve e può essere altro, allora interroghiamoci tutti, avendo però stabilito bene prima che qui si tratta per davvero di abbattere e ricostruire daccapo con in mente almeno un brandello di Visione e non del nuovo acronimo performante che saetti dall’ennesima circolare ministeriale e dalle sue numerose note di chiarimento susseguenti.
Dove sono le mense, i laboratori, le palestre, i giardini, gli studi, le biblioteche, il tempo modulare, flessibile, lungo o corto che sia?
Dove è finita la ricerca, che deve essere libera, inutile, stravagante per poter tornare ad essere ancora utile?
A meno che non si sia deciso che il sapere sia altrove e che sia attingibile solo per chi può in altro modo; a meno che non si sia deciso che il nuovo sapere sia in una summa somministrata di indotta ignoranza, allora vanno bene pure le file di corridoi o i panopticon della nuova ingegneria scolastica o le assemblee sindacali del venerdì.
Si potrà discutere davvero di tutto (delle bocciature, dello stipendio infame e squalificante dei docenti, dei nuovi curricula) solo quando la società tutta ritornerà e saprà interrogarsi per davvero sul destino della scuola, quando la politica ritornerà ad interessarsene, non come semplice bacino elettorale nell’ultima settimana di campagna elettorale, ma come vera emergenza nazionale su cui investire.
A me piacerebbe veramente che la scuola non divenisse una semplice istituzione caritatevole laica, che ricominciasse almeno a percepirsi come la parte migliore del nostro tempo: la gioventù.
Carlo Schiattarella
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