Per introdurre le mie riflessioni parto dall’ultima parola del titolo della lettera e pongo una domanda da un milione di euro: quale formazione efficace per una futura insegnante?
E’ molto facile rispondere se ci riferiamo ai titoli validi per i concorsi, ordinario e straordinario, indetti dal MIUR per cercare di sanare la problematica del precariato della Scuola dell’Infanzia e della Scuola Primaria.
Non entro nel merito del punteggio assegnato al servizio pregresso, poiché sarebbe necessario aprire un altro capitolo sulla valutazione del lavoro dell’insegnante.
Limitiamoci, si fa per dire, a riflettere sulla formazione e sui titoli che ufficialmente la convalidano. Aggiungo una considerazione: un concorso si fa per selezionare i migliori candidati e assegnare loro un ruolo definito.
E’ opinione diffusa, non solo nel mondo della scuola, ma in tutto il mondo del lavoro, vedi ultime prese di posizione dell’industria sulla “pratica dell’alternanza scuola lavoro”, che non c’è una corrispondenza univoca fra titolo di studio conseguito e competenze necessarie a svolgere i compiti richiesti sul campo.
Cioè non esiste automatismo fra il titolo di studio acquisito e riconosciuto valido per la partecipazione ad un concorso pubblico, e la garanzia che i soggetti selezionati in base a questo criterio abbiano le effettive capacità professionali per ricoprire il ruolo che viene loro assegnato.
Ma non possiamo cambiare i termini della questione, una legge dello stato e ordinamenti procedurali chiariscono quali sono i criteri di valutazione dei titoli utili per un concorso. Questa scelta preclude però, la possibilità di valutare e di tenere conto di tutta l’area di formazione complementare, e anche di quella che viene definita dagli studi recenti come“informale”, che conferiscono al candidato un insieme di competenze e di capacità che non fanno riferimento stretto alle discipline, alla conoscenza delle teorie pedagogiche, ma vanno, ad esempio, nella direzione di implementare le capacità di comprensione e di relazione con l’infanzia, oppure di rapportarsi positivamente con i colleghi e con le famiglie per dare forma a quella rete di scambi costruttivi cui ci si raccomanda per il buon funzionamento di una realtà educante.
Per chiarire i termini della questione faccio un esempio che trova riscontri nella scuola: mi riferisco ai molti docenti di scuola dell’infanzia e primaria che hanno conseguito una specializzazione triennale, che comporta 2400 ore di lavoro, che consente loro di svolgere la professione di Psicomotricisti, regolamentata da una legge, la 4/2013 (si allega profilo professionale). Questi insegnanti attraverso una formazione, sia teorica che pratica, hanno acquisito la competenza di accogliere e gestire situazioni educative difficili e problematiche. In tal modo la formazione psicomotoria va ad arricchire le competenze necessarie all’insegnante in una fase difficile della gestione dei comportamenti infantili, attraverso una capacità osservativa e di lettura del comportamento infantile, in tutte le sue varietà espressive anche problematiche, quali ritiro, turbolenza, provocatorietà, iperattività, ed un’esperienza di risposta adeguata alle circostanze attraverso la via corporea, il gesto, la voce, lo sguardo e la presenza.
Queste competenze sono in grado di far evolvere situazioni comportamentali complesse e dinamiche sociali cristallizzate e disturbanti per il positivo svolgersi dell’esperienza educativa del gruppo. A maggior sostegno del valore riconosciuto a questa disciplina cito il numero molto elevato di nidi, scuole dell’Infanzia e scuole primarie che richiedono interventi degli psicomotricisti, durante le ore curricolari. Siamo nell’ordine di molte centinaia: questo fenomeno è diffuso in notevole misura nelle regioni del nord e del centro, ed è meno diffuso nel sud, a causa forse anche della minore disponibilità economica delle realtà scolastiche.
A questo proposito, come Associazione, abbiamo stilato una serie di suggerimenti per i Dirigenti Scolastici (vedi allegato), volti alla compilazione dei bandi di assegnazione e ad una più efficace valutazione dei titoli e delle esperienze pregresse, per l’assunzione di psicomotricisti.
Ecco, questo è un piccolo esempio del non riconoscimento di una formazione complementare a quella riconosciuta per legge, se ne potrebbero fare altri e i lettori credo che aggiungeranno quelle che conoscono di persona.
In tutti questi casi, il datore di lavoro, lo Stato, rinuncia ad avvalersi di insegnanti “competenti con caratteristiche e modalità diverse” perché non ha gli strumenti adeguati a valutare tutta la formazione aggiuntiva e performante di ogni aspirante docente. Questa è una perdita di valore culturale e professionale non di poco conto a fronte di una società che spesso non riconosce al docente la validità della sua azione e del suo compito formativo delle future generazioni.
Non è un passaggio di facile e rapida soluzione, però credo che valga la pena impegnarsi in quella direzione se vogliamo mandare in cattedra davvero i più meritevoli e preparati.
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