La professione dell’educatore non è conosciuta da tutti rispetto a quella dell’insegnante.
Eppure sono diversi i settori in cui possono lavorare gli educatori: case famiglia, residenze sanitarie assistenziali, convitti, asili, carceri, case di riposo, in centri che si occupano di immigrati e tossicodipendenti.
Talvolta si fa una distinzione tra chi opera nell’ambito sanitario e chi in quello socio-pedagogico. Ci sono gruppi come l’APEI (Associazione Pedagogisti ed Educatori Italiani) che si impegnano a valorizzare al meglio questa professione, facendo sentire alla politica la voce di questa categoria.
Chi sceglie, ad esempio, di mandare un curriculum ad una cooperativa avrà più possibilità se avrà arricchito le proprie esperienze attraverso il volontariato in alcune associazioni oppure attraverso il servizio civile.
Non bisogna però dimenticare il punto di partenza, cioè il titolo universitario: la laurea triennale (L-19) in Scienze dell’Educazione e, poi, la laurea magistrale come la LM-85 (Scienze Pedagogiche) e la LM-57 (Scienze dell’educazione degli adulti e della formazione continua).
Concentrando l’attenzione sulla scuola bisogna considerare diversi elementi. Non tutti sanno che in Italia esistono una quarantina di Convitti Nazionali, un centinaio di Convitti Annessi ed alcuni Educandati.
In questi giorni il governo Draghi, attraverso il sottosegretario di Stato al Ministero dell’istruzione, on. Rossano Sasso (cfr. https://www.facebook.com/rossanosassoofficial/photos/a.1627337257380586/4179628288818124/), sta ascoltando alcune istanze degli educatori e si è ipotizzata una legge quadro per affrontare diverse criticità e definire meglio lo status giuridico (che è legato ancora ad alcuni Regi decreti).
Ma come valorizzare al meglio il percorso formativo e le competenze di chi si appresta a svolgere (o già svolge) questa professione?
Innanzitutto riconoscendo il merito di chi, ad esempio, ha investito somme economiche per master, certificazioni informatiche, linguistiche. Senza dimenticare i 24 crediti formativi universitari (cfu) nelle discipline antro-psico-pedagogiche che, purtroppo, alcuni ipotizzano di accantonare. Sono tutti titoli che fanno punteggio nelle graduatorie, ma soprattutto formano la persona.
Il personale educativo (PPPP) è formato oggi sia da storici istitutori sia da nuovi educatori.
Gli istitutori in passato riuscivano ad accedere alla professione educativa in convitto con più facilità nei diversi decenni che hanno preceduto il concorso del 2000 (ecco il bando di allora: https://www.edscuola.it/archivio/norme/decreti/ddpered.html).
Ma sono passati, appunto, vent’anni dall’ultimo concorso… Quale futuro per i nuovi aspiranti?
C’è chi diceva che bastavano 3 anni, cioè 36 mesi di servizio, per ottenere una sanatoria…
Si potrebbe pensare:
ad un nuovo concorso riservato;
ad assunzioni “per titoli e servizio svolto”;
ad un anno di formazione con esame finale: superandolo si potrebbe ottenere il ruolo, diversamente si potrebbe continuare a fare il supplente.
Sono alcune piccole proposte da tener presente prima di indire un nuovo bando di concorso, tenendo anche conto del fatto che un altro requisito importante del candidato potrebbe essere quello di avere già alcuni punti in graduatoria, dopo aver già svolto supplenze specifiche (PPPP).
Non bisogna alimentare una conflittualità tra colleghi. Bisogna, invece, migliorare il sistema. La giusta competizione, infatti, è sul merito, sul curriculum, sulle competenze.
Questa lettera aperta può essere integrata e sottoscritta anche da altri educatori. Non basta protestare, più importante è proporre idee realizzabili.
Francesco Varricchio
Elisa Lento
Carmela Pernice
Anna De Giorgi
Lavinia Bardozzo
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