Esiste un grande Bidone dove vengono accumulate tutte le buone intenzioni formative, etiche e culturali, che si chiama Scuola Pubblica Italiana.
Un concetto probabilmente già sentito, in varie forme e contesti argomentativi differenti. Si tratta comunque di una espressione condivisibile in quanto bene o male tutti percepiamo l’importante ruolo ricoperto dalla Scuola nella costruzione della complessa struttura sociale, politica, culturale ed economica della nostra civiltà.
Una civiltà è in vero una realtà sociale molto evoluta. Le società umane evolvono a civiltà attraverso un lungo percorso adattativo dipendente da una progressiva crescita delle conoscenze afferenti a tutte le branche del sapere umano. Conoscenze acquisite, peraltro, attraverso una costante ed impegnativa ricerca che coinvolge un po’ tutti i componenti di quella specifica realtà sociale umana.
Così, ad esempio, il grande sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica ha da poco più di un secolo stravolto il modo di vivere di tutti noi catapultandoci in un mondo che cento anni fa poteva soltanto essere vagamente immaginato dalla mente dei più creativi scrittori di libri di fantascienza. Gli esempi sarebbero illimitati ed è superfluo fermarsi a ragionarne.
Quale ruolo ha avuto in tutto questo processo evolutivo culturale, scientifico e tecnologico la formazione scolastica e universitaria? Certamente un ruolo fondamentale. Infatti per produrre innovazione scientifica e tecnologica bisogna avere conoscenze approfondite ed esperienza consolidata della complessa realtà fisica che sta dietro a qualsiasi tecnologia proposta. Tali conoscenze possono essere possedute solo attraverso un percorso formativo che inizia nella Scuola Primaria e si conclude nei centri di ricerca pubblici o privati.
La competizione tecnologica nell’economia globalizzata di oggi è diventata una lotta estremamente impegnativa anche in ambito di risorse umane. La curva di domanda di “cervelli” altamente qualificati deve potersi incontrare con quella dell’offerta per poter permettere ad un paese industrializzato come l’Italia di continuare a ricoprire un proprio ruolo nello scacchiere economico globale. Sotto questa prospettiva è facile comprendere l’importante e imprescindibile ruolo delle figure di eccellenza presenti in tutti i livelli del percorso formativo; individuarle precocemente e aiutarle a crescere può essere un lavoro che potrà dare molti frutti nell’ottica della capacità competitiva di un paese.
Stiamo da tempo assistendo ad una trasformazione tecnologica del mondo moderno che ha spostato decisamente verso l’alto i livelli culturali minimi obbligatori per una integrazione sociale ed economica dell’individuo.
Ci sono nuove forme culturali che fanno parte della nostra vita quotidiana e che in molti casi si sommano alla nostra formazione classica e in alcuni altri, in parte, si sostituiscono. L’utilizzo di piattaforme comunicative come i social networks rappresenta un esempio dell’esistenza di nuovi veicoli culturali di massa capaci di cambiare le nostre abitudini e il modo di interagire con gli altri. L’aver imposto nuove competenze operative informatiche in tutti i settori produttivi ed ambiti lavorativi ha modificato le qualifiche professionali richieste per l’assunzione nei più disparati posti di lavoro.
L’improcrastinabile ricorso all’uso della lingua veicolare inglese ha poi aumentato notevolmente il carico cognitivo e delle competenze richieste. Tutto questo cambiamento ha coinvolto giocoforza anche la Scuola che ha dovuto sostenere l’impatto dell’onda tecnologica e dell’evoluzione degli ambienti relazionali.
Da questo punto di vista ci si è accorti che la gestione dei flussi di informazioni veicolati dai moderni mezzi di comunicazione può diventare un modo per controllare e orientare le scelte culturali e definire così gli assi formativi prevalenti e i rispettivi livelli raggiungibili.
Questo comporta inevitabilmente anche la diffusione di una cultura di massa guidata molto spesso da più o meno esplicite motivazioni commerciali.
Si tratta in questo caso di una forma culturale circostanziata e fortemente interiorizzata dalle masse, utile anche per permettere l’integrazione dei singoli nei gruppi. Basta possedere l’ultimo modello di iPhone ed essere iscritto a qualche social network per essere più “figo” attirando l’attenzione di qualcuno. Ciò può bastare a renderci sereni ed adeguati!? Ma la cultura di massa spesso cambia “al bisogno” di chi la propone e ciò che oggi è importante domani non ha più alcun valore. Anche le nostre convinzioni di ieri perdono senso e vengono sostituite da altre effimere convinzioni.
Esiste la seria possibilità per un giovane nell’età evolutiva, di fronte a tale realtà, di non riuscire a individuare chiaramente il proprio progetto di vita. Non è facile riconoscere i veri valori del vivere. Quelli che non cambiano continuamente! Peggio ancora vi è il rischio che questi ultimi possano essere scambiati per pseudo valori che fanno solo diventare “sfigati”.
Il disorientamento etico e culturale è una reale conseguenza della troppo rapida sovrapposizione di nuovi modelli culturali che seppur validi per certi aspetti non rendono certamente agevole, soprattutto alle recenti generazioni, un confronto ed un raccordo con i classici modelli educativi e culturali. La facilità con cui si può accedere all’informazione e l’immediatezza della comunicazione a distanza, in qualunque posto ci si trovi, hanno certamente aperto un’altra dimensione spazio-temporale che ha reso tutto possibile.
Le difficoltà insite nella realizzazione delle attività quotidiane sono oggi quasi azzerate per i giovani in età scolare. I genitori, in maniera quasi compulsiva, privano i loro figli di qualsiasi “difficoltà” nell’autogestire la loro giornata. Li accompagnano la mattina fin davanti la porta del Liceo e poi li vengono a prendere, anche quando abitano vicino la scuola nello stesso centro cittadino. A tavola li viziano acconsentendo a tutti i loro capricci alimentari, sbucciando loro persino la frutta anche quando sono in età liceale. Li abituano da piccoli a feste in ludoteca ad ogni compleanno o altro evento. I ragazzi dispongono di danaro, vanno frequentemente in gita scolastica tutti gli anni, sono spesso arroganti, presuntuosi e a volte maleducati credendo di poter fare e dire tutto quello che vogliono. E tanto altro…
Ma quali ulteriori e più forti bisogni potranno mai promuovere in loro quei meccanismi mentali che possano spingerli verso la ricerca e l’approfondimento? Perché mai devono sforzarsi di cercare qualcosa di nuovo che possa dare loro maggiore confort e soddisfazione? Che motivo c’è per studiare o lavorare? C’è sempre qualcuno che pensa a loro e fa al posto loro. Mi viene proprio da pensare che il bisogno fa l’uomo saggio! E il dover chiedere lo rende educato, riflessivo e rispettoso.
E la Scuola che ruolo svolge in questo complesso gioco di fattori? La Scuola pare svolga un ruolo di spettatrice ignara e inconsapevole. Non riesce più, generalmente parlando, a dare una propria indicazione alla società di oggi né dal punto di vista etico né da quello prettamente culturale; asseconda semplicemente le tendenze degenerative già in atto da parecchio tempo.
Dà poca cultura e ne esige ancor meno. Accontenta molto certa utenza arrogante e presuntuosa elevando in modo inflazionistico le valutazioni di merito degli alunni. Si arrocca dietro il falso obiettivo che il successo scolastico possa essere semplicemente dimostrato con un’elevata percentuale di promozioni. Quali lungimiranti menti si nascondono dietro tutto questo? Chi ha così a cuore il futuro culturale, scientifico e tecnico dell’Italia da permettere una tale deriva sistematica dei Saperi volta ad un appiattimento delle conoscenze, delle competenze e delle coscienze?
L’evidente calo delle performances culturali dei nostri liceali riverbera in maniera allarmante sul mondo universitario che, seppur preoccupato della situazione, continua imperterrito a sfornare laureati “offrendo” loro, comunque, la certezza di conseguire il titolo di dottore. Del resto come sostenere il così vasto numero di corsi universitari esistenti!
Il diritto allo studio è diventato quasi un obbligo a livello sociale che si conclude solo dopo la laurea. Avere il diploma prima e poi la laurea è diventato un iter normale finalizzato anche allo scopo di sentirsi al passo con i tempi. Tempi che vedono spostato sempre più in là l’orizzonte dell’ingresso nel mondo del lavoro e dove Scuola e Università diventano sempre più luoghi di “parcheggio” in attesa di tempi migliori. Ma è anche vero che in genere si punta verso tipologie di lavoro altamente professionali oppure verso lavori impiegatizi “comodi” e non si è disposti ad accontentarsi di altre tipologie magari più faticose e logoranti.
Come dire tutti vogliono fare il medico perché si tratta di una professione altamente qualificante a livello sociale ed inoltre si guadagna bene. E se il proprio ragazzo non ha la stoffa per fare il medico poco importa; un modo per fargli superare il test d’ammissione si trova e una volta entrato, in un modo o nell’altro si laureerà. E in quel “in un modo o nell’atro” si nasconde un universo di debolezze umane ben poco esaltanti per il mondo della formazione a tutti i livelli. Ottenere lo stesso titolo senza sforzarsi troppo fa certamente bene, anche alla salute! Beh insomma lavorare è importante ma se a lavorare di più sono gli altri è meglio! E se la botte è piena e la moglie è ubriaca meglio ancora!
Quale futuro per la formazione scolastica statale? Se tutto proseguirà come adesso il futuro è già tangibile. I titoli culturali di base posseduti perderanno sempre più di valore e non saranno in grado di dimostrare le reali competenze. Competenze che certamente per i Licei non potranno essere accresciute dai progetti di Alternanza Scuola Lavoro. In questi ultimi infatti non assistiamo ad una vera professionalizzazione del liceale in quanto per curricolo lo studente del Liceo non sviluppa gli aspetti tecnico-pratici del sapere. Spesso i progetti di Alternanza realizzati nei licei si configurano come attività extracurriculari che hanno solo l’importante scopo di porre il ragazzo a contatto delle varie realtà aziendali presenti nel proprio territorio con finalità di orientamento in uscita.
E se tale territorio è povero di realtà produttive coerenti con quello che può essere il quadro delle figure professionali verso cui sono proiettati tali studenti dopo la laurea c’è il rischio che le attività di alternanza si tramutino in un obbligo curriculare che a fianco di nuove competenze legate alla pratica aziendale e al contatto con la realtà lavorativa toglie tempo e opportunità formative in senso classico. Ma se lo studente vuole fare il medico gli sia consentito di studiare bene!
Del resto però se la formazione è così appiattita verso il basso e visto che non ci sono così tanti posti di lavoro “d’alto lignaggio” è bene che provino a distinguersi in azienda. Forse così qualcuno li assume e non andranno ad ingrossare le fila di quell’esercito di laureati in cerca di prima occupazione!
La crisi economica nasce dalla stagnazione dei mercati che è frutto di equilibri geopolitici in cui la competitività tecnologica gioca un ruolo preminente. L’accaparramento di un settore di mercato può fare la differenza tra una economia viva e un’economia stagnante. Per poter vincere in qualche competizione economica bisogna essere performanti principalmente dal punto di vista scientifico – tecnologico e nell’organizzazione del lavoro. La stabilità dei posti di lavoro richiama gli investimenti delle aziende straniere e dà linfa vitale all’economia. La presenza in numero adeguato di “cervelli” capaci di gestire i processi produttivi che spingono l’economia è l’altra condizione essenziale per uscire dalla crisi che ormai sta soffocando il nostro Paese.
Grande ruolo continua dunque ad avere la formazione scolastica su tutti i livelli. La sua qualità è al centro dunque del problema! La parola d’ordine è diventare sempre più preparati e performanti! Quindi la Scuola va rivista! Bisogna ridare credibilità agli insegnanti come veri mediatori del processo formativo culturale in generale e tecnico-scientifico in particolare. Innalzare la qualità della formazione scolastica deve partire dalla serietà con cui viene fatto il lavoro a scuola ed in classe. Un serio lavoro da parte dell’insegnante sostituisce mille conferenze, incontri con associazioni, forze dell’ordine, autori o conferenzieri di ogni ordine e grado. Un buon lavoro fatto in classe e una seria valutazione di fine quadrimestre formano l’alunno dal punto di vista culturale ed etico. Una giusta meritocrazia promuove gli interessi e l’impegno.
Chi ha delle potenzialità le mette realmente a frutto perché vede ripagato il suo sforzo rispetto a chi fa poco o niente. In classe bisogna individuare le differenti capacità possedute dai ragazzi esaltandole al fine di motivare il ragazzo stesso e stimolare una crescita di tutto il gruppo classe. Per fare questo sono necessarie da parte del docente due cose essenziali: preparazione professionale e coerenza. Ciò che si dice deve essere mantenuto. Il resto va da se.
Lo studente comprende e segue quello che è l’indirizzo dato dall’insegnante. Insomma la Scuola non ha bisogno di grandi riforme e neanche di determinate figure manageriali che ne dirigono i vari Istituti il cui vero intento è quello di assecondare le istanze più disparate dell’utenza al fine di poter continuare il culto dei loro principali idoli: il prestigio e i finanziamenti.
Una volta nella Scuola si parlava di didattica e meritocrazia. Ci si poneva anche il problema se il cinque a fine anno fosse da considerare insufficienza o meno. Oggi molti collegi docenti deliberano quale criterio per la promozione l’avere non più di tre discipline d’indirizzo con grave insufficienza. Il che significa che se un alunno ha tre discipline con 3/10 e molte altre con 5/10 non potrà essere bocciato! In compenso andrà quasi certamente bene in educazione fisica e in condotta! Questo sì che è tutelare il posto di lavoro (sotto casa)!
La formazione dei docenti è il primo passo essenziale per far recuperare credibilità alla Scuola. La gestione seria delle attività didattiche è il secondo.
Non si può sperimentare sulla Scuola, come su una cavia, un numero così elevato di tentativi di riforma senza avere le idee perfettamente chiare.
Non si può perché si sperimenta sul futuro dell’Italia, sulla “salute” culturale delle nostre giovani generazioni. A mio avviso la sperimentazione fatta fin ora è stata portata avanti con una certa superficialità e con scarsi risultati! La formazione dei docenti su cui puntare è la maturità professionale specialistica degli stessi che va perseguita attraverso il potenziamento disciplinare e l’aggiornamento.
Potenziamento e aggiornamento fatti in modo serio, gestiti dalle Università con l’utilizzo di fondi pubblici (PON, FES, ecc.) in cui sia prevista, a fine corso, una verifica certificata delle competenze acquisite; competenze, peraltro, successivamente verificabili in ambiente didattico. Di certo una sana competizione tra docenti, spesa sul piano professionale, può servire allo scopo di migliorare la formazione scolastica stessa.
La Scuola bidone delle buone intenzioni non ha futuro! Eppure la nostra Scuola era un tempo tra le migliori nel mondo. Le strategie formative di ieri valgono ancora oggi. L’errore va dunque ricercato nel lavoro fatto in classe e nella gestione della didattica! Progetti ed iniziative culturali serie possono completare l’azione formativa ma devono essere limitate e ben organizzate.
Invece assistiamo, specialmente nel corso del secondo quadrimestre, ad un proliferare di iniziative tra le più disparate che sottraggono numerose ore di lezione a tutte le discipline. Così progetti di solidarietà, attività teatrali, presentazione corsi estivi per il superamento dei test di ammissione alle facoltà, conferenze della Banca d’Italia o dell’esercito o del corpo dei Carabinieri o di quello della Finanza o ancora della Marina Militare o di chi che sia, incontri con autori, attività di orientamento in uscita presso le facoltà universitarie, giornate con Enti e/o Associazioni varie, mostre varie, progetti di ogni ordine e grado, ecc. riempiono le giornate di scuola sottraendo tempo per esercitare “l’arte dell’insegnamento”.
Non dimentichiamo poi le numerose festività e i frequenti viaggi d’istruzione di varia durata. Il tempo così passa e i programmi si svolgono ugualmente ma in modo raffazzonato o si riducono eccessivamente, laddove possibile. Il risultato di questo paradosso è sotto gli occhi di tutti: le competenze possedute dai nostri allievi nelle varie discipline sono molto basse! Però viene richiesto che sappiano parlare e scrivere bene in lingua italiana, che conoscano bene almeno una lingua straniera, che abbiano buone competenze in Matematica ed in generale nelle materie scientifiche. Certo! La competizione scientifica ed economica si basa su queste competenze disciplinari!
Ed è così che la Scuola resta impantanata in un circolo vizioso in cui da un lato si richiede professionalità nella formazione e, dall’altro, si caricano le Istituzioni Scolastiche di sempre nuovi “doveri” formativi che sottraggono tempo ed efficacia alla formazione in classe. Così la società affida alla Scuola compiti “colmativi” che la Scuola stessa non potrà mai assolvere pienamente perché è anche essa Società che manifesta “vuoti” funzionali. Mi sembra palese quindi che vi è la necessità di alleggerire questo Bidone e farlo diventare uno Scrigno dove si conservano i valori formativi essenziali che sono il vero tesoro per le future generazioni.
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