Attualità

Quale inclusione per la next generation? Dalla mancanza di docenti di sostegno alla cattedra mista

Il termine inclusione sta diventando una parola di moda. In particolare i decisori politici la inseriscono ormai quasi in ogni discorso e per quanto riguarda la scuola è ormai d’obbligo inserirla in ogni documento.
Tutto bene, purché non si svuoti di significato e non la si utilizzi come mero esercizio retorico a prescindere dalla realtà fattuale.

L’Italia continua ad essere il paese con la normativa più avanzata dal punto di vista dell’inclusione degli allievi con disabilità, ma la ricaduta sulle effettive esperienze degli allievi può essere molto diversa in funzione della singola scuola e a volte della singola classe.

Includere gli allievi con disabilità

La carenza di insegnanti di sostegno specializzati costituisce un elemento di criticità ormai storico, che dipende dal fatto che i corsi di specializzazione sono ben lontani dal coprire le necessità e dalla fuga verso le cattedre curricolari.
A questo proposito la creazione di cattedre miste, con insegnanti che svolgono parte del proprio orario come insegnanti curricolari e parte come insegnanti di sostegno potrebbe essere di grande aiuto. Si tratta di un dibattito ormai di vecchia data (Italian Journal of Special Education for Inclusion anno III | n. 2 | 2015) che ha trovato in parte un riscontro normativo (Decreto Legislativo 13 aprile 2017, n. 66 art. 14 comma 2), ma che non è ancora entrato a far parte della cultura organizzativa di molti dirigenti scolastici e dirigenti degli uffici scolastici regionali e territoriali. 

Capita infatti di vedersi negare questa possibilità sia all’interno delle scuole, sia da parte degli uffici scolastici quando si tratta di assegnare spezzoni di cattedra. D’altra parte molti insegnanti non sono nemmeno a conoscenza di questa possibilità e alcuni insegnanti curricolari, pur desiderando svolgere anche il ruolo di insegnanti di sostegno, essendo in possesso del titolo di specializzazione, vi rinunciano perché non intendono abbandonare completamente il loro ruolo nell’insegnamento della propria materia, quando invece potrebbero svolgere entrambi i ruoli. 

Nella gestione delle attività di sostegno ci sono altri elementi di criticità.

  1. L’utilizzo degli insegnanti di sostegno per la sostituzione di colleghi assenti Una grave violazione dei diritti degli allievi con disabilità e di tutta la normativa vigente. Con il covid il problema si è acuito, non potendo dividere le classi, ma purtroppo non si tratta solo di interventi di emergenza. Da quando sono state sottratte molte ore di docenza (riforma Gelmini del 2009) questa violazione dei diritti degli allievi con disabilità è pratica tanto diffusa quanto illegittima e illegale.
  2. Il fatto che i GLI (Gruppo di Lavoro per l’Inclusione) e i GLO (Gruppo di Lavoro Operativo) spesso non si riuniscono. Questi ultimi dovrebbero redigere il PEI, ma molto spesso tutto viene delegato al solo insegnante di sostegno, il quale dovrebbe essere un mediatore e coordinatore pedagogico, contitolare della classe, incaricato di favorire il processo di integrazione e inclusione degli allievi con disabilità e non l’insegnante personale di questi ultimi. Ci sono casi in cui il PEI non viene nemmeno fatto vedere e firmare ai docenti del consiglio di classe!

Per ovviare  a queste criticità sarebbe molto importante una maggiore sensibilizzazione dei dirigenti scolastici in merito alla loro responsabilità nell’attuazione della normativa per l’inclusione degli allievi con disabilità e nella realizzazione di veri percorsi di integrazione e inclusione. I criteri per l’attribuzione di incentivi economici, così come le relazioni dei nuclei di valutazione, dovrebbero dare particolare rilevanza a questi aspetti e la formazione e selezione dei dirigenti dovrebbe evitare di concentrarsi quasi esclusivamente su questioni di ordine burocratico amministrativo, ma contemplare anche la dimensione didattico-metodologica e psico-pedagogica.

Inoltre sgravare i DS da compiti burocratici o affiancare loro una figura di esperto pedagogico permetterebbe di avere una scuola più attenta ai bisogni degli studenti.

 Includere tutti

Oltre a questi aspetti specifici relativi alla disabilità ci sono poi altri elementi che incidono fortemente sul livello di inclusività di una scuola, perché possono consentire o negare il diritto all’istruzione di intere classi.

  1. Le condizioni degli edifici scolastici 
  2. Il numero degli allievi per classe.
  3. La formazione iniziale degli insegnanti di scuola secondaria.
  4. Il continuo succedersi degli insegnanti assunti a tempo determinato.
  5. Il comportamento di alcuni studenti, che mette in pericolo l’incolumità fisica, di insegnanti e studenti e che rende quasi impossibile fare lezione, soprattutto dove un alterato concetto di inclusione induce a permettere agli studenti qualunque tipo di comportamento, senza che vengano messi in atto provvedimenti disciplinari educativi, in grado di orientarli verso comportamenti socialmente accettabili, attingendo alle possibilità della giustizia riparativa.
  6. La creazione di grandi istituti comprensivi che in molti casi ha ridotto i dirigenti scolastici a meri esecutori di procedimenti burocratici, senza concedere loro il tempo e le energie per guidare le scuole da un punto di vista pedagogico. Coerentemente peraltro con una formazione dei dirigenti orientata quasi esclusivamente verso gli aspetti burocratico-amministrativi.

Con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza abbiamo un’occasione forse unica per cambiare una situazione che è in via di deterioramento da decenni, ma in particolare dal 2009, quando il governo Berlusconi con i suoi ministri Tremonti, Gelmini e Brunetta, hanno sottratto risorse per svariati miliardi alla scuola italiana.

Oltre agli ovvi interventi organizzativi necessari, già impliciti ed evidenti semplicemente menzionando le criticità di cui sopra, ci sono alcuni interventi necessari che penso sia utile evidenziare:

  • La formazione iniziale degli insegnanti di scuola secondaria dovrebbe attuarsi a partire da un biennio di laurea specialistica con indirizzo specifico per l’insegnamento, successivo alla laurea triennale, che contempli anche esami di pedagogia e didattica speciale per l’inclusione di studenti con BES e un tirocinio formativo attivo che permetta di sperimentare sul campo cosa significa insegnare, prima di trovarsi da soli di fronte a classi complesse.
  • Ampliamento degli interventi educativi nelle scuole e nei territori di periferia, dove la dispersione scolastica è molto diffusa e la devianza criminale ne è spesso la conseguenza, sull’esempio del progetto Provaci ancora Sam di Torino o dei Maestri di Strada di Napoli. Questi interventi possono però essere molto più efficaci dove esiste una progettualità interna alle scuole, la quale richiede: tempi adeguati (i consigli di classe nella scuola secondaria servono sostanzialmente solo ad assolvere gli adempimenti burocratici); lo sviluppo di relazioni cooperative tra gli insegnanti; la realizzazione di una didattica fondata sulla costruzione di gruppi classe solidali e cooperativi, la promozione delle abilità sociali e lo sviluppo di un approccio attivo e dialogico, elementi fondamentali di una scuola inclusiva (come peraltro più volte ribadito nelle Indicazioni Nazionali per il Curricolo, 2012). 
  • A questo si dovrebbe aggiungere la tutela legale da parte dello Stato degli insegnanti minacciati o aggrediti nella loro funzione di pubblici ufficiali, perché non può esserci una scuola inclusiva se gli insegnanti vengono messi nelle condizioni di non poter far rispettare le minime regole di convivenza civile e gli insegnanti con più punteggio e più esperienza se ne vanno appena possono, lasciando così gli insegnanti meno esperti a gestire le situazioni più difficili. 
  • Infine dovrebbe esserci la possibilità di rilasciare un attestato di frequenza, invece del diploma, al termine della scuola secondaria di primo grado, non solo per gli allievi con disabilità che non raggiungono gli obiettivi previsti dal PEI, ma per tutti coloro che non hanno raggiunto le competenze minime. Questo eviterebbe di rilasciare il diploma conclusivo del primo ciclo d’istruzione (licenza media) a studenti il cui comportamento ha impedito loro di acquisire competenze minime, ma la cui permanenza nella scuola secondaria di primo grado non viene ritenuta utile dal consiglio di classe e anzi potrebbe costituire un ulteriore danno per loro stessi e per la classe che li ospiterebbe. Permetterebbe inoltre di evitare che si diffonda l’idea che si può fare di tutto senza subire conseguenze, idea che determina la diffusione di comportamenti devianti anche tra studenti che potrebbero invece essere aiutati a vivere serenamente e utilmente il percorso scolastico

Per realizzare una scuola realmente inclusiva i finanziamenti sono indispensabili, ma non sufficienti. Le scelte vanno fatte, anche in questo caso, con criteri di scientificità e con riflessioni da parte degli esperti del settore, quindi si spera che i decisori politici e gli intellettuali, non cadano nell’errore del “Manifesto per una nuova Scuola”, che in nome di un pensiero progressista propone soluzioni che inducono tornare ancora di più verso una scuola di tipo oppressivo ed escludente, ma considerino il parere dei pedagogisti e le evidenze scientifiche nell’ambito delle scienze dell’educazione, come proposto nella risposta al precedente documento (Per una nuova scuola che guarda al futuro ) e nei due eventi video (Per una scuola che guarda al futuro. VideoFlc Cgil: la scuola dell’inclusione incontro con il Ministro Patrizio Bianchi).

Ulteriori approfondimenti su alcuni aspetti affrontati in questo articolo saranno presenti sul prossimo numero della rivista Handicap & Scuola del Comitato per l’Integrazione Scolastica di Torino.

Claudio Berretta

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