Punto nodale di molte diatribe sulla validità o meno della formazione scolastica di tutti i tempi, ed in particolare di quelli odierni, è rappresentato dalle modalità di valutazione adottati dalle singole scuole e dai singoli docenti. Si è sempre puntato il dito sulla soggettività della valutazione che sarebbe, di per sé, la causa principale di una serie di problemi formativi.
Non bisogna dimenticare, infatti, che valutare correttamente corrisponde anche a formare le coscienze dei discenti rendendoli consapevoli del proprio reale saper fare e delle proprie conoscenze. Una consapevolezza che discende dall’accettazione della valutazione fatta dal docente sia essa positiva che negativa. Se poi la valutazione pecca anche da altri punti di vista, che possiamo identificare in determinate scelte di politica scolastica, il problema diventa parecchio più complesso e le conseguenze si estendono, ahimè, uniformemente a tutta la realtà scolastica italiana. Le scelte docimologiche vengono spesso orientate da ragioni diverse, che poco hanno a che vedere con la verifica del livello delle reali competenze possedute. Ma di questo si è già ampiamente discusso in altre occasioni editoriali. Bisogna adesso fare delle ipotesi, anche di ampio respiro, in grado di fornire degli spunti di riflessione politica. Poiché non si tratta di un problema semplice ne consegue che anche la soluzione percorribile possa non essere semplice e probabilmente azzardata, se non utopica. Bisogna proporre una soluzione che comporti una formazione scolastica più rispondente alle competenze richieste ai nostri giovani dal competitivo mondo del lavoro e che, contemporaneamente, restituisca credibilità agli insegnanti per quanto riguarda le loro reali capacità formative, oltreché dare valore culturale spendibile al diploma finale. È possibile tutto questo in un colpo solo? Forse lo è.
Approfittiamo un po’ della tecnologia, visto che ce la propinano in tutte le salse. Ipotizziamo, per assurdo, che vengano predisposti programmi ministeriali molto precisi e ben studiati per ogni tipo di indirizzo scolastico. Ipotizziamo anche che si faccia una valutazione sommativa modulare e periodica (diciamo mensile o, al più, ogni due mesi) e che venga effettuata on line da un ente ministeriale esterno all’istituzione scolastica. Assumiamo poi che gli esiti di tali valutazioni vengano comunicati ai singoli studenti in tempo reale (la tecnologia lo consente) per garantire loro la giusta tempistica per affrontare il percorso di recupero delle conoscenze e delle competenze relative allo specifico modulo disciplinare. Conoscenze e competenze che possono essere recuperate in orario curriculare a scuola, o privatamente. Con un tale sistema valutativo, sebbene non venga impedito al singolo alunno la possibilità di seguire altri moduli formativi, resterebbe comunque il debito nel modulo la cui prova on line non è stata superata.
Al diploma si giungerebbe quindi solo dopo il superamento di tutte le prove modulari di tutte le singole discipline. In questo scenario didattico la figura dell’insegnante appare necessariamente come tecnico qualificato in grado di fornire le giuste ed indispensabili nozioni necessarie a superare la prova modulare nei tempi previsti. Prova che non richiede più l’espressione valutativa del singolo docente scolastico. Avrebbero quindi reale senso e diffusa applicazione tutte le innovazioni metodologiche didattiche valide a far raggiungere gli obiettivi formativi (almeno quelli minimi) ai propri alunni. L’insegnante deve quindi essere attivo, aggiornato e interessato; un vero professionista. La valutazione fatta dalla scuola sarebbe così più oggettiva, a condizione che l’istituzione scolastica sia in grado di garantire lo svolgimento delle prove on line con la massima serietà. L’ipotesi non mi sembra malvagia nel suo principio. Ridarebbe serietà alla Scuola italiana rendendo il diploma finale realmente spendibile nel mondo del lavoro a livello nazionale, europeo e internazionale. Basterebbe creare un ente ministeriale in grado, attraverso una opportuna equipe di docenti e personale tecnico, di predisporre le prove di verifica periodiche. Si tratterebbe in pratica di un ente simile all’INVALSI con una attività però più capillare e costante. Se tutto questo sembra troppo difficile da realizzare allora esistono altre soluzioni più semplici. Una di queste prevede di togliere valore legale al diploma. Esso diverrebbe una semplice attestazione del livello di competenze raggiunto nelle varie discipline.
Questa soluzione presenta però dei limiti. Infatti, se da un lato elimina la corsa al voto di diploma più alto possibile che, come è noto, diventa utile per l’accesso ai corsi universitari e allo sgravio delle relative tasse, dall’altro, e per lo stesso motivo, rende quasi inutile il diploma stesso facendo aumentare l’abbandono scolastico. Ciò anche per l’esistenza di una cultura mediatica che ormai è diventata valida succedanea di quella scolastica classica, spesso svilita dall’attuale andazzo generale. Un’altra soluzione che è un po’ una via di mezzo tra le due viste sopra potrebbe essere quella di ridare credibilità alla valutazione scolastica fatta dai docenti, attraverso un controllo della valutazione medesima realizzato con normative ad hoc. La valutazione espressa dai singoli docenti e concertata in sede di scrutinio verrebbe in tal modo ad essere più corrispondente alle reali competenze possedute dagli studenti. Le modifiche normative richieste in tal senso non sono tante e neanche difficili da realizzare. È necessaria però la giusta determinazione politica.
Giuseppe D’Angelo
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