La deroga all’obbligo scolastico nei confronti di alunni con handicap ai sensi della L.n.104/92, pone una questione di comparazione tra interessi da tutelare. Da un lato, i genitori, da soli, o insieme alla scuola dell’infanzia, possono ravvisare la necessità di ritardare l’ingresso nella scuola primaria, al fine di produrre nell’alunno una maturazione ulteriore e ridurre il divario tra età mentale ed età anagrafica; ed in vero producendosi una riduzione di tale divario, inevitabilmente si ridurrebbe anche la percezione del divario tra il bambino in questione e i compagni di classe; dall’altro, la scuola persegue l’obiettivo determinante dell’integrazione.
Ad un primo sguardo, i due beni da tutelare sembrano in contraddizione essendo volto il primo al trattenimento alla scuola dell’infanzia e il secondo all’espletamento dell’obbligo e all’iscrizione alla classe prima. Occorre chiedersi quale sia tra questi l’interesse superiore da tutelare nei confronti del minore disabile o se piuttosto non si tratti di strategie diverse per raggiungere un medesimo obiettivo, quello della integrazione.
In effetti, il rispetto delle specificità individuali, anche se perseguito attraverso il trattenimento nella scuola dell’infanzia, non può non avere come fine ultimo l’integrazione stessa, in attuazione del principio Costituzionale dell’art.3 con il quale “la Repubblica si impegna a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la sua partecipazione alla vita sociale”, non potendosi, infatti, immaginare che l’effetto che il bene superiore ha prodotto si fermi alla mera percezione di un divario, ma dovendo produrre concretamente effetti tangibili quali il miglioramento della sfera relazionale e sociale che sono i veri prerequisiti per i futuri apprendimenti e che non possono essere disattesi anche nei casi di disabilità grave.
Si ricorda, infatti, che, anche nei casi di disabilità grave o gravissima, l’integrazione non è mai da intendersi come mero inserimento in presenza e si possono programmare interventi di stimolazione sensoriale utilizzando la Programmazione neurolinguistica che definisce ”segnali minimi percepibili” i segnali non verbali, al fine di stimolare la comunicazione di semplici messaggi. In questo senso diventa fondamentale la funzione tutoriale che si può sviluppare nei compagni di classe di scuola primaria, dai sei anni in poi e che è ancora poco sviluppata nei bambini più piccoli.
In particolare, poi, la scuola assicura il rispetto per le specificità individuali anche attraverso forme di continuità educativa tra i docenti del ciclo inferiore e superiore al fine di consentire il completamento dell’obbligo fino al compimento del 18° anno di età (L.104/92, art.14 co.1 lett. c).
Occorre precisare che dagli anni 90 in poi c’è stata un’evoluzione normativa che ha perseguito un cambiamento di prospettiva per l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale espressi dall’ Art2 della costituzione: dalla cura medica si passa alla presa in carico istituzionale e alla cura pedagogica.
Infatti, la C.M. 5 settembre n.235 del 1975, al fine di attenuare il carattere inderogabile dell’obbligo scolastico, contemplava come criterio da prendere in considerazione per un’eventuale deroga, l’età mentale dei soggetti, purché non si producessero condizioni non pregiudizievoli per il “non facile compito della scuola”.
In verità anche il T.U, D.lgs n.297/94, art.114, co.5 prevede una forma di deroga per gravi e comprovati motivi di salute: <>
Successivamente, la L.n.104/92 si è posta l’obiettivo non di un mero inserimento scolastico ma di una integrazione che partendo dalla scuola abbracci l’intero arco di vita del soggetto con handicap. Infine, nel 2009 le Linee Guida per l’integrazione prevedono la costituzione di un vero e proprio ‘progetto di vita’ , insistendo molto sulle reti di scuole e sui raccordi tra USR ed EELL ed AASSLL.
Pertanto, dalla mera attesa e dal semplice rispetto dei tempi naturali di maturazione si è passati ad una prospettiva attiva di costituzione di una molteplicità di “reti” di rapporti interistituzionali, sociali e relazionali da costruire intorno al soggetto disabile già a partire dalla scuola primaria dove il soggetto disabile rimane insieme ai suoi compagni dai cinque agli otto anni, specie negli istituti comprensivi che mantengono inalterate le formazioni delle classi nel passaggio alla scuola secondaria di primo grado.
La classe della primaria diventa allora la prima rete di rapporti umani e sociali dove integrare l’alunno, la prima comunità che riceve in dono la possibilità del vero arricchimento umano, dove l’integrazione assume un senso più ampio perché rappresenta per gli alunni che costituiscono la prima rete di rapporti sociali, l’occasione per sviluppare competenze relazionali e civiche.
Occorre allora riflettere se “ritardare” l’inserimento dell’alunno disabile grave o gravissimo significhi ritardarne l’integrazione e valutare quale sia in realtà il bene superiore che si intenda tutelare con l’azione del ritardo nell’inserimento alla primaria.
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