Nitidezza del profilo e preventiva selezione qualitativa, anche con adeguato riconoscimento economico, degli ispettori e presidi chiamati a far parte delle commissioni di valutazione.
Sono questi i requisiti fondamentali che dovrebbero, usiamo il condizionale, accompagnare la costruzione del concorso per la selezione dei futuri dirigenti scolastici.
Non basta cioè scrivere i regolamenti ed i bandi, se poi, al dunque, tutto si riduce a domandine quiz, senza alcuna considerazione sulle competenze effettive oggi richieste ad un dirigente scolastico. Hard e soft skills, si ripete sempre. Ma, se andiamo a vedere, al di là dei NEV, cioè dei Nuclei di Valutazione esterna, qual è la situazione delle singole scuole ne viene fuori di tutto e di più.
Capacità di leadership positive, visione del futuro, come capacità di relazione, di coinvolgimento, di organizzazione e gestione, di presa di responsabilità: è una descrizione sintetica del lavoro quotidiano dei presidi che non può essere comparata con gli altri dirigenti della pubblica amministrazione, al di là delle questioni stipendiali, oggi tutte e favore di questi ultimi che, per paradosso, sono più riconosciuti, e con stipendi ben maggiori, pur con meno responsabilità.
Anche se è noto che si tratta di un concorso nazionale, con filtro d’ingresso, in caso di eccedenza delle domande, ma poi con gestione regionale, sappiamo, per esperienza, che in alcune regioni negli ultimi concorso la selezione è stata dura, mentre in altre non c’è stata nessuna selezione. Con, poi, il paradosso di trasferimenti inter-regionali che hanno vanificato il lavoro a livello regionale e creato non poche criticità.
Il primo punto, dunque, deve essere quello seguito dal Trentino: chi vuole fare il preside a Trento deve fare il concorso a Trento. Risolveremmo tante difficoltà, che si notano in tante scuole.
In seconda battuta, nonostante la dirigenza unica, chi viene da un Istituto Comprensivo, per poter essere nominato in una Scuola Superiore, e viceversa, deve/dovrebbe sostenere, al momento della nomina, su iniziativa degli USR, un colloquio preventivo. Per saggiarne le capacità, oltre che le competenze, perché il ruolo di un preside non è solo gestionale, ma educativo-culturale, oltre che didattico a seconda dello specifico indirizzo.
Che sia venuto il tempo di riprendere il sentiero (preferenziale) dei presidi-ingegneri per gli Itis, di diversi anni fa?
Per chiudere, la nomina di un preside non può più prescindere dal fatto che è chiamato ad un ruolo pro-attivo all’interno di una comunità educante, non di un mero incarico burocratico.
Perché non prevedere anche per i presidi la “chiamata diretta”, col coinvolgimento del Consiglio di Istituto, vista la rappresentanza, che andrebbe allargata anche agli Enti Locali, delle varie componenti delle scuole?
Sullo sfondo di quella legge sulla autonomia scolastica che è rimasta, per questi aspetti, tutta e solo sulla carta. Perché le scuole non possono più essere considerate solo propaggini periferiche della burocrazia centrale e periferica, ma interfaccia a tutto tondo delle comunità locali.
Ciò che rende speciali le scuole, dunque comunque diverse dagli altri uffici burocratici, è che sono e sono chiamate ad essere sempre più “scuole delle comunità locali”, secondo una logica sussidiaria ancora inapplicata nella vita del nostro Paese. Modalità concrete per realizzare e vivere l’etica della reciproca responsabilità. Che è il cuore educativo proprio delle scuole nella società attuale.
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