Quando l’esame di maturità venne introdotto, poco meno di un secolo fa all’epoca del ministro Giovanni Gentile, fu una mezza ecatombe: lo superò poco più del 50% degli studenti.
L’esame riguardava solo i due licei (scientifico e classico) ed era durissimo, perché riguarda il programma di tutto il corso e non solo dell’ultimo anno e prevedeva 4 prove scritte (italiano e versione latino/italiano e entrambi i licei, versione italiano/latino e greco per il classico, matematica e lingua straniera per lo scientifico).
L’esame rimase pressoché intatto fino al 1969 quando cambiò radicalmente con la legge 119 del 5 aprile 1969 voluta in particolare dal ministro democristiano Fiorentino Sullo.
L’approvazione della legge venne quasi festeggiata in tutte le scuole d’Italia perché all’inizio dell’anno scolastico gli studenti dell’ultimo anno erano convinti di dover sostenere ancora il vecchio esame e così la nuova legge fu una vera e propria “liberazione” per gli studenti.
Risale alla riforma Sullo l’introduzione delle due prove scritte per tutti gli esami finali delle scuole superiori e del colloquio conclusivo. E sempre con la stessa riforma viene inserito il voto finale complessivo calcolato all’epoca in sessantesimi.
Ma l’aspetto più innovativo della legge era ancora un altro e riguardava l’accesso alle facoltà universitarie che viene completamente “liberalizzato”: dal 1969, infatti, è possibile iscriversi a qualunque facoltà senza nessun vincolo legato al diploma conseguito.
In precedenza solamente il liceo classico consentiva di accedere a tutte le facoltà.
La legge 119 prevedeva che il nuovo esame avesse carattere sperimentale, ma, come spesso accade nel nostro sistema scolastico, la “sperimentazione” si protrasse per decenni.
In uno spezzone di un TG Rai dell’epoca sono riportati commenti dei maturandi di quell’anno.
Le prime modifiche risalgono infatti all’epoca del ministro Berlinguer quando la “maturità” lascia il posto all’ “esame di Stato”.
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