Come valorizzare quel 5% della popolazione scolastica italiana con capacità cognitive molto alte e che il sistema non è ancora in grado di sfruttare e forse neanche di individuare? E dunque, la domanda: saprà la scuola riconoscere un bambino con capacità superiori al normale ed eventualmente indirizzarlo laddove possa mettere a frutto le sue doti? O piuttosto si limiterà a giudicarlo ipodotato perché magari si distrae, si annoia, non socializza?
In ogni caso, sembra proprio che il sistema scolastico italiano non sia preparato nella gestione di questi ragazzi geniali, così come riporta Repubblica, intervistando genitori di alunni iperdotati, nonché studiosi, come la prof Maria Zanetti, presidente di Lab Talento, un laboratorio per ragazzi e bambini gifted dell’Università di Pavia, che afferma: “Era novembre 2018 quando il Miur ha organizzato un tavolo tecnico, di cui ho fatto parte, per definire le linee guida nazionali sulla plusdotazione. Abbiamo consegnato queste linee nel luglio 2019 e avrebbero dovuto diventare operative dall’anno scolastico successivo, ma tutto è stato messo in stand-by”.
Motivo? Emergenza covid e crisi di governo, mentre fu proprio la ministra Lucia Azzolina, nel 2020, a formulare un atto di indirizzo in cui si afferma la necessità di inserire i soggetti con alto potenziale nel paragrafo dell’inclusione, attestando cioè che gli insegnanti debbano avere una formazione adeguata, con metodologie di apprendimento specifiche.
Intanto però questi ragazzi spesso abbandonano la scuola, cambiano istituto o si ritirano, dimostrando così l’incapacità delle istituzione di valorizzare questi studenti, anche dal punto di vista dell’intelligenza emotiva.
L’unica iniziativa presa riguarda l’inserimento della plusdotazione all’interno dei Bes, i bisogni educativi speciali, ma le direttive su come valorizzare le grandi curiosità e capacità degli studenti gifted non ci sono. Solo 95 istituti in tutta Italia hanno la certificazione nel trattamento della plusdotazione, nessun obbligo legislativo, ma la facoltà della scuola o del singolo insegnante nel seguire corsi di formazione sul tema.
Si tratta comunque di scuole nelle quali si hanno sezioni sperimentali in cui il numero degli studenti è contenuto, i voti non esistono e i compiti in classe si fanno in gruppo, suddivisi per livello, mentre permane alto il rischio di esclusione anche di questi studenti con un’intelligenza da valorizzare.
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