È di qualche giorno fa la notizia di onorificenze attribuite dal Capo dello Stato ai cosiddetti “eroi della pandemia”: cittadini che si sono distinti durante il periodo dell’emergenza sanitaria. Dal Quirinale hanno sottolineato come, sebbene i riconoscimenti siano attribuiti ai singoli, essi assolvano un ovvio valore simbolico, finendo per rappresentare «l’impegno corale di tanti nostri concittadini nel nome della solidarietà e dei valori costituzionali».
Così, scorrendo velocemente l’elenco dei cittadini insigniti del titolo di Cavaliere al merito, notiamo un’insegnante precaria di scuola primaria della provincia di Vicenza, premiata perché – leggiamo dalle motivazioni rese pubbliche – «nonostante il contratto scaduto non ha interrotto le video-lezioni con i suoi studenti».
È sempre encomiabile l’iniziativa da parte di figure e cariche dello Stato di premiare e gratificare l’impegno dei cittadini, anche perché è segno di una vicinanza e di un’attenzione alle azioni che la popolazione svolge nella sua quotidianità. Tuttavia, vorremmo provare a capire meglio la questione, soprattutto rispetto all’aspetto simbolico del premio attribuito: il merito della docente, elevata a eroe della Repubblica e che, come tale, sarebbe degno di lodevole emulazione da parte dei restanti cittadini, sarebbe poi quello di molti insegnanti che, durante la pandemia, hanno continuato a svolgere quotidianamente il proprio ruolo, sempre connessi su varie piattaforme, per consentire agli studenti di fruire del sacrosanto diritto all’istruzione, nonostante tutto.
La questione sorprendente, ai nostri occhi, per come essa è venuta emergendo in un tranquillo scambio di messaggi tra colleghi e che qui proviamo a condividere nella totale assunzione di responsabilità, è tuttavia un’altra: ad essere portata ad esempio è una docente precaria con contratto scaduto, che, come da lei stessa affermato, avrebbe, infine, lavorato gratuitamente, nell’incertezza di un rinnovo che alla fine non è mai arrivato.
A questo punto la logica del premio si fa meno lineare e sorgono le prime domande che, non solo da docenti, ma come lavoratori, dobbiamo porci: occorre lavorare di più per essere notati? Certamente, chi fa “il suo”, chi non osa, non emerge ed è destinato a rimanere nella mediocrità anonima; ma, ancora, occorre lavorare oltre, anche senza averne più titolo? E con quali conseguenze per il mondo del lavoro?
Il fatto che una docente lavori col contratto scaduto e, ciò malgrado, continui a mettere anima, corpo e giga a disposizione dei suoi studenti, sembrerebbe far emergere tutte le contraddizioni di un sistema-scuola che deve far fronte ad una fisiologica carenza di organico, specialmente al Nord; eppure, invece di concentrarci sulla lesione continua dei diritti del lavoro, di denunciare la dignità negata a molti lavoratori della scuola, ne esaltiamo la spettacolarizzazione avvenuta attraverso una cerimonia di Stato. Consideriamo, in più, la beffa subita dai precari: esibiti a modello, gli “eroi del Covid-19”, ma che, purtroppo, sono attualmente alle prese con le pratiche burocratiche di disoccupazione, NASPI, in attesa che a settembre ci sia qualche cattedra residua da occupare (sic!).
C’è un’altra logica, in realtà, che agisce in modo più subdolo e che rende amaro questo riconoscimento non solo per la collega, ma per tutto il mondo della scuola. A noi pare che le circostanze ci rendano asserviti alle dinamiche della mistica della sollecitudine di baudrillardiana memoria, una sorta di «lubrificazione dei rapporti sociali attraverso il sorriso istituzionale»[1]. Sembra, in sostanza, che il riconoscimento rimarchi l’ormai assodata disgregazione dei rapporti sociali e della dignità del lavoro come «fatto fondamentale della nostra società».
È davvero uno strano modo questo di prendersi cura del lavoro (perso? Sottopagato? Fonte di soddisfazione? Poco importa tutto ciò), che alle fine si nutre di pubblici sorrisi, plausi ed encomi, elargiti perlopiù come atti esteriori di un’attenzione istituzionale ancora troppo distratta rispetto a ciò che conta, ahinoi, vale a dire la sicurezza del futuro lavorativo.
Da docenti, che hanno condiviso con la collega vicentina un triste destino decennale di precariato, ci sembrava opportuno dare maggiore risalto alla notizia per esprimere le nostre congratulazioni alla collega, manifestare la nostra vicinanza, ma soprattutto per far emergere una questione che meriterebbe più attenzione istituzionale e politica perché, al di là dei riflettori e del quarto d’ora di celebrità, vede tristemente calpestata quotidianamente la dignità professionale e lavorativa di professionisti, di insegnanti, eroi perché, in barba alla condizione di precarietà, hanno continuato a lavorare gratuitamente.
Andrea Petracca
Michele Lucivero
[1] J. Baudrillard, La società dei consumi, il Mulino, Bologna 2010, p. 194.
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