Si ripropone alla nostra attenzione il problema dell’aggressione degli insegnanti che per la giustizia italiana continua a non avere rilievo penale: si vorrebbe, così, salvaguardare il ruolo e il prestigio sociale degli insegnanti italiani (sic!).
I fatti risalgono al 2017. In una scuola di Sora (Provincia di Frosinone) una docente di Lettere viene aggredita da un uomo adulto che, entrato in classe e inserendosi nel confronto tra la docente in questione e i suoi studenti, apostrofa con tono aggressivo l’insegnate con queste parole: “Sta svalvolata, fuori di testa, che**** dice, lei è pazza”.
A seguito della querela dell’insegnante, il giudice arriva a questa decisione (Sentite e tremate!): “Sebbene la parte offesa si trovasse a scuola e rivestisse ruolo di pubblico ufficiale al momento dell’offesa perpetrata dall’indagato alla presenza di più persone, tuttavia non vi è alcuna prova che l’offesa sia stata percepita dai presenti. Le parole “Sta svalvolata, fuori di testa, che *** dice, lei è pazza” certamente hanno leso l’onore della denunciante persona comune ma non il prestigio della pubblica funzione svolta”.
Ma che giustizia è questa!
Mi chiedo cosa accadrebbe se una persona entrasse in una caserma dei carabinieri e interferisse con parole simili nel corso di un confronto tra i militari ed eventuale persona fermata. Gli insegnanti non sono equiparabili a carabinieri, anzi per la legge, nel caso della vicenda narrata, valgono meno della “persona comune”. Capite benissimo, cari colleghi, che su di noi (Insegnanti) non si costruiscono barzellette, ma siamo diventati, noi stessi, delle barzellette agli occhi di uno Stato senza spina dorsale. E, poi, si pretenderebbe che dall’offesa i docenti uscissero più tutelati, più armati di prestigio e di considerazione sociale!
Quanti di noi, se la docente in questione (Ma ognuno di noi avrebbe la sua storia da raccontare), di fronte all’offesa, avesse avuto la forza e l’umana e legittima reazione “uguale e contraria”, oggi avrebbero solidarizzato con la collega? Probabilmente avremmo sciorinato distinguo di natura pedagogico-educativa e messo, anche noi, l’aggredita sul banco degli accusati.
Io, per onore di verità e non per fare l’eroe, ma per la rabbia che questi fatti mi procurano e di cui, qualche volta, sono stato fatto oggetto (Ma con il seguito di querela, scuse per iscritto dell’energumeno e capo cosparso di cenere), mi sarei tirato fuori dalla mischia e avrei certamente solidarizzato con il/la collega di turno, perché della giustizia formato Pilato ho piene le scatole.
Oggi, in occasione della campagna elettorale povera di tutto, ma, soprattutto, di idee, molti vi parlano di “lavorare per il prestigio degli insegnanti”. Un consiglio non richiesto: mandateli a quel paese e votate (Ricordatevi che dobbiamo andare a votare come segno di ringraziamento a quegli uomini e donne caduti per assicurare a noi la Democrazia) solo chi ha la vergogna di stare zitto. Già la mancanza di parola (assenza di promesse), in questo deserto morale e culturale, è quasi un valore.
Il Nostro caro Lorenzo Milani ci ha insegnato di «dare la parola a coloro che ne sono privi e dare la parola alle coscienze che l’hanno persa». Noi dovremmo attualizzarlo questo altissimo insegnamento e adattarlo, all’occorrenza, ai tempi che cambiano in peggio: “Togliamo la parola ai mestieranti della politica e restituiamola in termini di fiducia a chi ha, ancora, la coscienza di stare zitto”. Togliamola, soprattutto, a chi si fa i gargarismi con parole come legalità e giustizia.
Carissima collega aggredita, noi ti siamo vicini con tutta quella rabbia che si prende legittimo spazio in noi. Capiamo il tuo stato d’animo e ti siamo vicini sempre e comunque …
Al giudice (di Sora), diciamo: “Continua così! Ma se hai figli che frequentano la scuola non aspettarti miracoli dagli insegnanti, preparati ad accoglierli nell’aula di “giustizia”: lì avranno il tuo benservito!”
Vito Pirruccio
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