Un recente post su X ha scatenato una vivace discussione sul tema dell’educazione e del ruolo della genitorialità. Camilla, la zia di un bambino di sei anni, racconta le difficoltà del nipote nell’affrontare l’inizio della scuola e il suo rifiuto costante di frequentarla. La sua proposta di “quattro sberle” come soluzione è stata subito criticata, portando alla luce un tema complesso: come educare i propri figli?
Il post ha raccolto numerose risposte, con molti utenti che si sono schierati contro l’idea delle punizioni fisiche. Alcuni commenti suggeriscono invece un approccio più empatico, come Patryk che scrive: “Bisogna capire perché non vuole andare a scuola”, oppure la maestra Lidia, che sottolinea come sia normale per alcuni bambini manifestare difficoltà nei primi giorni di scuola e invita alla pazienza, piuttosto che al ricorso a specialisti o sberle.
Tuttavia, il post di Camilla fa emergere un problema più profondo: la mancanza di una guida per molti genitori nel gestire situazioni di questo tipo. Commenti come “Due sberloni… ma soprattutto mai dargliela vinta” e “Con me hanno funzionato le sberle” rivelano quanto sia radicata l’idea della disciplina fisica come metodo educativo. Sebbene l’opinione pubblica sia divisa, molti esperti sono concordi nel ritenere che l’educazione fisica sia non solo inefficace, ma dannosa per lo sviluppo emotivo e psicologico dei bambini.
Molti dei commenti nel post suggeriscono soluzioni semplicistiche, come lasciare il bambino a scuola nonostante le sue proteste o addirittura minacciarlo, ma queste risposte evidenziano una profonda disconnessione dal benessere emotivo del bambino. La psicoterapeuta menzionata dai genitori del bambino rappresenta uno dei tanti approcci disponibili per capire le ragioni del rifiuto del bambino, ma in Italia manca ancora una cultura diffusa della gestione delle emozioni e dei comportamenti infantili.
Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma e professore ordinario di Neuropsichiatria infantile all’Università Cattolica di Roma, intervistato da Repubblica, ha dato alcuni suggerimenti.
Il prof Vicari ha affermato: “Cosa possiamo fare se nostro figlio non vuole andare a scuola, come possiamo sostenerlo? Intanto non giudicarlo e non stigmatizzare questo suo comportamento, magari dandogli dell’inetto o dell’inaffidabile. Il giudizio non aiuta mai. Ma invece è meglio essergli vicino, essere pronti ad accogliere le difficoltà che possono esserci nell’andare a scuola. Questo non vuol dire necessariamente assecondarlo. ‘Accolgo la tua paura, accolgo la tua difficoltà, facciamo qualcosa insieme per poterla superare’, questo è l’atteggiamento che suggerirei ai genitori”.
E continua: “Se la difficoltà è modesta, già accoglierlo e rassicurarlo può essere risolutivo. Se il disturbo è più marcato, magari si può chiedere aiuto a uno psicologo o un neuropsichiatra infantile, in base alla gravità del disturbo. È inoltre utile parlarne con gli insegnanti e ancora prima coinvolgerei il pediatra di famiglia perché conosce tutta la storia del bambino e può dare dei suggerimenti importanti e preziosi”.
Cosa fa uno psicologo o un neuropsichiatra infantile? Ce lo dice il dott Vicari: “Intanto non bombardano di farmaci il bambino, quindi niente paura. Ma durante gli incontri possono essere suggerite delle strategie coinvolgendo anche i genitori per cui il ragazzo può essere meno pressato dal timore di andare a scuola. Ad esempio si può tentare di avvicinare gradualmente il bambino all’attività scolastica invitando a casa un compagno di scuola in modo che il giorno dopo ha comunque un elemento di sicurezza e tranquillità anche all’interno della classe. Accogliere la difficoltà non vuol dire assecondarla“.
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