Una scuola secondo la propria visione del mondo e delle cose? Una scuola che risponda alla propria, specifica Weltanschauung? L’abbiamo sognata tutti, almeno l’hanno progettata in fantasia coloro che in qualche modo non hanno aspettato il bonus di Renzi per comprarsi i libri, andare a teatro, al cinema, seguire gli eventi culturali, ascoltare i grandi interpreti dell’arte, stipulare abbonamenti a riviste di didattica e seguire corsi di specializzazione.
Purtroppo, il sogno di questa scuola diversa, pensata secondo canoni socratici, non si è mai concretizzata nel dato reale, aspettando, elezione politiche dopo elezioni politiche, un ministro dell’Istruzione o un Governo che ponesse mano a una revisione complessiva di questa scuola, basandola su un concetto principale e ineludibile: “segnare dentro” gli alunni l’amore per la cultura, per il sapere, incidere sulla capacità critica e del pensiero indipendente, esplorare le doti dialettiche per non subire gli inviti subdolamente lucignoleschi a sbarcare il lunario in classe, in un modo o nell’altro, per andare avanti. Partendo dalla filosofia e dalla storia come luoghi privilegiati della riflessione, il testo, spiega l’autore, si rivolge all’intero mondo della scuola, cioè a insegnanti, alunni e genitori, nell’intento di scuotere le menti e produrre consapevolezza.
Questo in qualche modo il concetto generale espresso nel libro di Matteo Simonetti, “La scuola a modo mio. Insegnare nell’epoca dell’omologazione”, La Vela edizioni, 12,00 euro; e che riprende il concetto gramsciano, sviluppandolo e calibrandolo ai giorni nostri, dell’insegnante “commesso della cultura borghese”, il messaggero del suo ordine costituito, il venditore della sua ideologia che in un preciso momento storico va per la maggiore, come successe col fascismo e come starebbe, sottolinea l’autore, avvenendo oggi, con i bombardamenti omologanti, non solo dei social ma anche di una classe politica che, per proteggere se stessa e i privilegi, vuole cittadini acritici, ignoranti, poco propensi alla riflessione.
Prova ne sia, spiega Simonetti, il patrimonio linguistico di cui i nostri alunni dispongono, riducibile a qualche centinaio di parole, mentre tutti i loro interessi sembrano svolazzare sulla certificazione di temi e personaggi, di stili di vita e formazione tutti simili a se stessi, e dunque gestibili e controllabili.
Da qui, come viene spiegato nel risvolto di copertina, angoscia, eterodirezione, costrizione, noia e inautenticità della scuola e dei suoi docenti.
E da qui pure la successiva domanda: qual è il ruolo dell’insegnante, nell’era di Google sempre in tasca e della Intelligenza Artificiale?
Il libro è quindi una sorta di avvertimento ai docenti e a chi si occupa di educazione, un messaggio aperto e l’invito a percorrere strade coerenti con la crescita civile degli alunni, con una maturità fuori degli schemi che il capitalismo e la sua gestione starebbe imponendo. L’insegnante come testimone e custode di tale corso in coerenza tra il suo “Ducere” e l’azione, nella prospettiva di ricoprire un ruolo centrale “nella vita di ognuno, nel bene e nel male”.
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