I lettori ci scrivono

Quando la cultura si trovava nei libri e in coloro che li avevano studiati

Ci fu un tempo, non molto lontano, in cui i maestri e i sacerdoti, soprattutto nei piccoli borghi, erano quasi gli unici depositari della cultura ufficiale e pochi potevano permettersi il lusso di avere in casa librerie colme di testi importanti. L’accesso al sapere, per i più esigenti, prevedeva il recarsi nelle biblioteche comunali o in quelle universitarie con grande impegno di tempo e fatica per la ricerca del testo che rispondeva alle proprie esigenze. Tempi in cui la cultura viaggiava a “bassa velocità” lungo tortuose e poco agevoli stradine. A scuola i Professori impersonavano la cultura e ciò che affermavano suonava come un ’”ipse dixit”. Diventavano così garanti di conoscenze consolidate nel tempo e fermamente possedute, anche se statiche ma comunque sufficienti a tirar fuori dall’”analfabetismo”, spesse volte totale, gli italiani, con particolare riferimento al secondo dopoguerra, periodo a noi più vicino.
Il paradigma formativo della scuola italiana era quello previsto dalla riforma Gentile che, in buona sostanza e di fatto, è andato sempre bene, con le debite considerazioni che si possono sempre fare. La formazione universitaria ricevuta dagli insegnanti, se ben strutturata, bastava loro per svolgere egregiamente il delicato compito della trasmissione dei saperi essenziali indispensabili alle nuove generazioni di studenti.

L’avvento della rivoluzione tecnologica informatica, che trova la sua massima espressione con la creazione del più grande mercato dell’informazione rappresentato da internet e dell’ormai grandissimo numero di applicativi che si avvalgono dell’utilizzo di tale rete di computer, ha cambiato profondamente il modello della formazione. La facilità con la quale si può accedere a qualsiasi tipologia di informazione (scientifica, tecnologica, economica, normativa, letteraria, ecc.) ha reso obsoleta la cultura specialistica di settore di cui ciascun insegnante un tempo, come anche oggi, si faceva portavoce.

L’accesso estremamente facilitato alle informazioni ed anche randomizzato, in base alle esigenze del momento, ha reso fortemente dinamico e variegato il bisogno formativo degli studenti di oggi.

Lo studente interessato e motivato, se lo desidera, può trovare su internet informazioni tali da permettergli di costruirsi da autodidatta la propria formazione culturale. Chiaramente se manca la “fame” di conoscenze, finalizzate ad acquisire abilità e capacità competitive, questa enorme tavola web, imbandita di ogni sapere, non serve più di tanto. In questi casi i nostri ragazzi si fanno distrare da quella che potremmo chiamare cultura socialpop legata più che altro al veicolo dei social compresi quelli dei video giochi.
L’aver, gli insegnanti, ridotto le “pretese scolastiche” nell’ottica di una ingenua logica di creare un clima accomodante per paura di non scontrarsi con il demone dell’abbandono scolastico a cui andrebbero (condizionale obbligatorio!) incontro gli alunni che subiscono un temporaneo blocco scolastico ha causato un profondo indebolimento delle capacità logiche e rielaborative di molti nostri ragazzi della cosiddetta generazione zeta.
Non più abituati a doversi sforzare più di tanto per conseguire il successo scolastico hanno affidato all’immediatezza con la quale questi moderni canali tecnologici possono rispondere all’esigenza informativa quel poco sacrificio che è necessario fare per superare l’ostacolo rappresentato dallo studio scolastico.
Molte delle azioni quotidiane trovano oggi realizzazione sul piano delle connessioni elettroniche, dove l’Intelligenza Artificiale interpreta molto bene le nostre intenzioni fornendoci quello che vogliamo senza alcuno sforzo per specificare bene quello che intendiamo dire.
Qualunque ostacolo rappresentato da verifiche, relazioni, esercizi, ecc. può essere così facilmente superato.
Una I.A. che quasi si sostituisce alla nostra e, probabilmente, sempre più lo farà. Mi chiedo allora, e come me se lo chiedono in tanti, perché non invertire la direzione di marcia nella scuola italiana? Non voglio dire che non bisogna utilizzare le numerose innovazioni tecnologiche che giorno dopo giorno diventano sempre più numerose.
Gli insegnanti sono quelli che possono riqualificare la formazione dei nostri giovani, se ne fossero veramente consapevoli, diventando più esigenti attraverso una sana modulazione della valutazione che tenda a premiare le reali competenze e abilità. Insomma, una scuola più seria potrebbe rallentare questa deriva culturale a beneficio di una maggiore longevità della scuola stessa.
Gli insegnanti devono capire infatti che, se la scuola italiana non produce in termini di formazione reale e competitiva a livello globale, tra non molto non ci sarà più bisogno di loro (almeno nelle scuole superiori) per realizzare il processo formativo. La transizione digitale nella didattica 5.0 offre già la visione di un quadro generale verso cui è proiettata la formazione scolastica: l’alunno diventa artefice della sua formazione.
E gli insegnanti del futuro cosa faranno? Saranno ancora là? Certo non è facile prevedere esattamente come si saranno trasformati. Il metaverso potrebbe rendere non necessaria la loro stessa presenza fisica! E la formazione dei nostri ragazzi sarà migliore o ancor peggio di come è adesso.
Il grande Manzoni direbbe: “Ai posteri l’ardua sentenza…”

Giuseppe D’Angelo

I lettori ci scrivono

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