Lo stile della scrittura è quello chiaro e pulito, adatto per declamare che la lingua non ha bisogno di retorica né di altisonanti trovate linguistiche per affermarsi, e non già perché è diretto agli insegnanti, e con particolare riferimento a quelli delle primarie, ma perché è lo stile più consono a trasmettere ide e consigli, esperienze e competenze acquisite sul campo.
E così esce per Bertoni Editore, “La maestra senza penna”, (14 euro) di Nicolina Moretta, nel quale la maestra, di fronte alla sfida ingiusta che il covid presenta alla scuola, con l’obbligo della lezione a distanza, è costretta a inventarsi uno stratagemma didattico per non lasciare i suoi alunni indietro e soprattutto per continuare nelle attività svolte prima di questa mai vista prima avventura.
E in tale nuova fase, il primo strumento a cadere, quello più caro al docente, è la penna: il marchingegno che segna gli errori, mette le assenze, sottolinea le frasi, assegna giudizi e voti.
Ma con che cosa sostituire la penna, mentre è in corso la didattica a distanza? La famosa Dad che tanto affanno ha creato ai docenti italiani?
Ambientato nell’Alto Casertano, il libro raccoglie i temi svolti dai bambini della scuola primaria e pure le difficoltà che la maestra incontra da remoto, insieme all’impatto che all’inizio del periodo pandemico i ragazzi subiscono dentro a una realtà irreale, virtuale, lontana.
Da qui pure il passaggio della penna della maestra ai ragazzi per l’autocorrezione, attraverso cui “il singolo alunno impara, attraverso la lettura di quello che ha scritto, a correggersi” e soprattutto ad “avvicinarsi a un modello” particolare di confronto.
Un modo ulteriore, l’autocorrezione, per acquisire autostima e per sentirsi protagonisti di “un progetto di crescita”.
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