In una intervista rilasciata al Giornale, il sociologo Luca Ricolfi così risponde ad una domanda cruciale del giornalista (I danni dell’«istruzione democratica» sono il fardello finale del Sessantotto o ci sono responsabilità più recenti da parte di una sinistra ideologica?): “Sì, ci sono responsabilità posteriori al ’68, ma ce ne sono anche di anteriori, prima fra tutte la istituzione della scuola media unica (1962), con la progressiva eliminazione del latino e il costante annacquamento dei programmi. Per non parlare dei danni del donmilanismo (Lettera a una professoressa è del 1967), un’ideologia che avrebbe avuto un senso negli anni ’50, ma che alla fine dei ’60, quando si diffuse, era divenuta largamente inattuale e profondamente anti-popolare”.
Non entro nel merito dei presunti danni del “donmilanismo”, ma mi soffermo sulla questione della scuola media unica che Ricolfi considera il momento in cui avrebbe avuto inizio il “declino” del nostro sistema scolastico.
E’ anche possibile che quella della media unica non sia stata una riforma perfetta (per la verità nessuna riforma lo è), ma forse bisognerebbe anche ricordare cos’era il nostro sistema scolastico prima del 1962.
Intanto non esisteva ancora una scuola materna statale, nata solamente nel 1968. Esistevano all’epoca solamente le scuole religiose e alcune (pochissime) esperienze di scuole private gestite dalle grandi aziende o scuole comunali nelle città più grandi.
Al termine della scuola elementare si poteva accedere alla “vecchia” scuola media (quella con il latino che tanto sembra piacere a Ricolfi) ma solo dopo aver superato un esame di ammissione.
Chi non andava alle medie aveva ampia possibilità di scelta: c’erano tre scuole di avviamento (industriale, professionale e commerciale) ma anche la scuola d’arte.
Con l’avviamento industriale si poteva accedere agli istituti tecnici industriali e con quello commerciale si poteva passare agli istituti di ragioneria mentre con l’avviamento professionale si andava negli istituti professionali.
Con la scuola d’arte, infine, ci si poteva iscrivere al liceo artistico.
In pratica, a 11 anni, si decideva (all’80%) il futuro scolastico dei ragazzi che, quindi, veniva determinato più dalla appartenenza al ceto sociale che alle capacità.
Senza dimenticare un particolare poco noto ma piuttosto significativo: poiché nelle aree più disagiate del territorio nazionale non esistevano né le scuole medie né le scuola di avviamento, il Ministero aveva istituito le classi post-elementari, la sesta, la settima e l’ottava; classi che concretamente funzionavano presso le stesse scuole elementari e che vennero affidate a maestri e maestre.
Nell’anno scolastico 1961/62 fra gli alunni di scuola elementare si contava almeno un 10% di ripetenti mentre il tasso di scolarizzazione nel grado successivo (medie e scuole di avviamento) si attestava sul 60% (era del 71% per i maschi e del 54% per le femmine).
Alla scuola secondaria andava sì e no il 20% dei ragazzi e delle ragazze fra i 14 e i 18 anni.
Insomma la scuola ante riforma della scuola media era questa.
Ognuno decida se davvero quella fosse l’età dell’oro del nostro sistema scolastico.
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