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Quando studio e sport entrano in collisione

È da più parti dimostrato che lo sport viene praticato dalle preadolescenti e adolescenti quel tanto che basta per promuovere in loro un buon sviluppo fisico, per assicurare lo svago e l’acquisizione di competenze, per offrire conferme, sostegno e amicizie. Solo in casi molto rari acquisisce un ruolo centrale per la costruzione dell’identità personale, diventando una vera e propria carriera professionale e, pertanto, una scelta di vita. Perché questo accade? Perché le ragazze spesso abbandonano la carriera sportiva?
Alla base dell’allontanamento delle giovani atlete dalle attività sportive ci sarebbero gli impegni scolastici, seguiti dalle pessime relazioni con istruttori o compagni. Questo dicono i risultati di una ricerca realizzata nel 1998 dal Centro Toscano di Psicologia dello Sport su 300 preadolescenti, assidue praticanti di varie discipline agonistiche. Non sembrano invece contribuire in modo determinante, come causa di abbandono, l’ansia per la competizione, il rischio di annoiarsi e il peso della famiglia.
Decisamente diversa è però la situazione qualora si parli di ragazzi e non di ragazze. I genitori intervistati dai ricercatori, infatti, considerano lo sport come un’attività secondaria e temporanea nella vita delle loro figlie, destinata a terminare con la crescita. Al figlio maschio, al contrario, viene attribuito un vissuto atletico più intenso e duraturo.
Ecco, quindi, che per i figli maschi sembra esserci un maggior investimento, soprattutto in prospettiva, rispetto alle femmine, per le quali si tende a ridimensionare le aspettative.
Si può concludere che il senso di identificazione nel ruolo atletico rappresenti un qualcosa di più provvisorio per le femmine rispetto ai maschi, è pertanto possibile che esso assolva ad una funzione prettamente “strumentale”.
Le aspettative genitoriali piuttosto che gli impegni di studio, alla base dunque degli abbandoni.
I genitori condividono comunque l’idea che l’ambiente sportivo debba essere stimolante e auto-promuovente per i figli, e forse in modo particolare per le femmine. A tal proposito, soprattutto le madri si aspettano dall’allenatore la capacità di sollecitare le giovani all’impegno, mentre i padri privilegiano l’idoneità all’ascolto.
E’ pertanto possibile affermare che l’enfasi posta sui rapporti interpersonali contribuisca ad attribuire a questi ultimi un forte potere motivante. Se, comunque, questo forte bisogno di relazione, grazie alla quale si rafforza l’autostima e la fiducia in sé, viene soddisfatto, l’adesione all’attività sportiva è certo più stabile e duratura.
In effetti, all’attività sportiva vengono intimamente ascritti dei compiti che vanno ben oltre le sue specificità tecniche. Si tratta di un potenziale educativo per così dire di “integrazione” delle funzioni genitoriali, potenziale sicuramente molto atteso, anche se poco esplicitato e riconosciuto e raramente valorizzato.

Alessandra

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