Una giovane ricercatrice, Roberta D’Alessandro, ha vinto un finanziamento europeo da 2 milioni di euro per mappare e documentare i dialetti degli italiani emigrati negli anni 50-60 in Argentina, Brasile, Stati Uniti e Canada.
Intervista agli emigranti
L’idea, riporta Il Corriere della Sera, e quella di chiedere, con la collaborazione di altri 5 ricercatori italiani assunti per 5 anni, “ai nipoti degli emigranti di andare dai loro nonni e convincerli a registrare un file audio della durata di una decina di minuti”.
8 dialetti- lingue
I dialetti su cui si concentrerà lo studio sono 8: tra quelli settentrionali il veneto e il piemontese, tra quelli centrali-toscani il fiorentino e il senese, tra quelli meridionali l’abruzzese orientale e il napoletano e infine il palermitano e il salentino tra i cosiddetti meridionali estremi.
Non chiamateli però dialetti, dice la ricercatrice, perché si tratta di vere e proprie “lingue italo-romanze sviluppatesi dal latino parallelamente all’italiano codificato da Dante su base toscana: non solo hanno un proprio lessico e una propria grammatica”.
Le finalità
Scopo della ricerca è capire come questi «dialetti» siano cambiati entrando in contatto con le altre lingue, in primo luogo quelle più simili ad essi, cioè lo spagnolo, il portoghese, il francese del Québec .
L’inglese serve più che altro come lingua di controllo: «Per questo tipo di ricerche l’ideale è confrontare grammatiche minimamente diverse come appunto quelle delle lingue neoromanze».
Una parte dei dati verrà raccolta anche in Italia in modo da poter studiare quello che lei definisce il «contatto violento» avvenuto negli ultimi 50 anni fra i vari dialetti e la lingua italiana.
Zia Favola: un romanzo siculish
Da segnalare è a questo punto una recente pubblicazione in “Siculish”, tale ibrido linguistico delle comunità siculo-americane, dal titolo “Zia Favola. Una storia siculish” di Cono Cinquemani.
Questo un esempio: “Mi chiamo Favola Cinquemani, chista è la mia storia. Una storia siculish. Dicuno chi parru siculish, halfu miricanu e halfu sicilianu”.
Metà e metà, duqnue, come l’ambivalenza dell’anima quando si lacera tra affetti, che pretendono tenerezze, e quindi divisa tra vecchio mondo, arretrato ma schietto, e nuovo, che è colmo di speranza ma poco chiaro, appannato e talvolta persino incompressibile come l’idioma.