Una recente ordinanza del Tribunale di Palmi (proc. n. 2287/2021) ha ricordato che il periodo trascorso in quarantena o in “permanenza domiciliare fiduciaria” con sorveglianza attiva non deve essere considerato ai fini del periodo di comporto.
Per periodo di comporto s’intende il periodo massimo in cui il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro, pur non rendendo alcuna prestazione lavorativa.
L’art. 2110, comma 2, del codice civile c.c. stabilisce che nei casi di assenza dal lavoro per infortunio, malattia, gravidanza e puerperio, il datore di lavoro ha diritto di recedere dal contratto decorso il periodo stabilito dalla legge, dai contratti collettivi, dagli usi o secondo equità.
La durata del periodo di comporto, è determinata dunque dalla legge o, più spesso, dal CCNL applicabile.
La ragione di tale disposizione va individuata nella necessità di contemperare gli interessi delle parti, cercando di garantire da un lato l’interesse del lavoratore ad avere un congruo periodo di assenze per ristabilirsi a seguito di malattia o infortunio e, dall’altro, l’esigenza del datore di lavoro di non dover subire a tempo indefinito ripercussioni sull’organizzazione del lavoro a causa del prolungarsi dell’assenza del lavoratore.
La durata del periodo di comporto è regolata dall’art. 17 del CCNL 2006/09 secondo cui “Il dipendente assente per malattia ha diritto alla conservazione del posto per un periodo di diciotto mesi. Ai fini della maturazione del predetto periodo, si sommano, alle assenze dovute all’ultimo episodio morboso, le assenze per malattia verificatesi nel triennio precedente”.
Superato tale periodo, il dipendente potrà assentarsi “per un ulteriore periodo di 18 mesi in casi particolarmente gravi, senza diritto ad alcun trattamento retributivo”.
Il decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (cosiddetto “Cura Italia”) all’art. 26 stabilisce che “fino al 31 dicembre 2021, il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva marzo 2020, n. 19, dai lavoratori dipendenti del settore privato, è equiparato a malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento e non è computabile ai fini del periodo di comporto”.
Per quanto riguarda i dipendenti pubblici, l’art. 87 del decreto stabilisce che “Il periodo trascorso in malattia o in quarantena con sorveglianza attiva, o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva, dovuta al COVID-19, è equiparato al periodo di ricovero ospedaliero”.
Il successivo “decreto Agosto” (d.l. 104/2020) all’art. 26, comma 1 quinquies, ha precisato che tale periodo “ non e’ computabile ai fini del periodo di comporto”.
Va precisato che il caso affrontato dal Giudice riguardava una dipendente del settore privato.
Tuttavia, il principio affermato è certamente applicabile anche al comparto scuola, in quanto, come si è visto, i lavoratori del pubblico impiego godono di garanzie analoghe -se non maggiori-, avendo diritto, in caso di “assenza Covid”, all’intero trattamento economico senza alcuna decurtazione, dunque alla RPD per il personale docente e al CIA per il personale Ata.
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