Si è accesa -ne avete dato notizia- la discussione su una questione nodale: gli insegnanti che finiscano in quarantena possono continuare la loro attività “da remoto”?
Mi pare corretta e direi scontata la posizione dei sindacati, che si schierano per il “no” ove la quarantena sia equiparata alla malattia: non è assolutamente accettabile che un lavoratore in malattia presti attività lavorativa, in nessuna forma; ciò costituirebbe tra l’altro un precedente ‘pericoloso‘ da molti punti di vista.
Quel che non comprendo è per quale motivo il dipendente in quarantena debba necessariamente considerarsi malato finché non presenti sintomi: chi è in isolamento non dovrebbe essere collocato automaticamente in malattia, e potrebbe così legittimamente proseguire con la didattica a distanza, una forma di lavoro ‘agile’ che andrebbe normato con apposita sequenza contrattuale, coinvolgendo le OO.SS. In questo modo la questione principale sarebbe risolta.
Ne sorgerebbe però immediatamente un’altra, a mio parere di ancor più difficile soluzione: ove l’attività della classe potesse continuare ‘in presenza’ con gli altri insegnanti, anche nel caso in cui un docente fosse in quarantena, si dovrebbe immaginare che le lezioni del docente “in isolamento” venissero svolte per via telematica con la classe presente a scuola: in questo caso, come si affronterebbe il problema della sorveglianza degli studenti?
Chiunque si sia occupato di formulazione dell’orario delle lezioni sa bene che sarebbe impensabile provvedere ad una sua rimodulazione ogni volta che si presenti un caso reale o presunto di contagio, per consentire agli studenti di seguire da casa propria la parte di lezioni svolte da remoto da uno o più docenti in quarantena (risolvendo in questo modo anche il problema della sorveglianza).
Temo dunque che l’unica via d’uscita rimanga equiparare quarantena e malattia, con conseguente interruzione dell’attività lavorativa del docente e arruolamento di un supplente, a meno che non si pensi all’impiego temporaneo di figure che con il docente “in isolamento” cooperino, assumendosi anche l’onere della sorveglianza delle classi ‘scoperte’ a scuola (dei tutor “arruolati“ tra i laureandi (?), con contratti ad hoc, figure da istituire ovviamente mediante concertazione con le OO.SS, a cui si potrebbe ricorrere anche nel caso dei docenti cosiddetti ‘fragili’).
Credo che proprio la sorveglianza degli studenti in caso di problemi di salute improvvisi dei docenti, indipendentemente dal Covid-19, sia un aspetto finora ampiamente sottovalutato; tradizionalmente un’assenza improvvisa di un insegnante è stata risolta in via eccezionale (rasentando a volte i limiti del lecito) anche smistando gli alunni in altre classi o accorpando classi poco numerose: nei prossimi mesi questa non sarà più una via percorribile.
Una soluzione potrebbe essere un organico rinforzato in grado di coprire le emergenze del tipo cui ho accennato: sappiamo per esperienza che con le ore “a disposizione” dei docenti e con le poche unità di docenti “di potenziamento” che rimangono in organico non sarà possibile far fronte alle situazioni che si creeranno quotidianamente nelle scuole di ogni ordine e grado.
A questo punto, perché non ritornare a cattedre con orario di insegnamento inferiore alle 18 ore, prevedendo alcune unità orarie a disposizione per la sostituzione dei colleghi assenti? Con il vincolo di organico e spesa invariati, si potrebbe invece pensare ad un tempo scuola ridotto per gli studenti, al pari di altri paesi europei: immaginiamo lezioni di 45’ e cattedre dei docenti strutturate con 18 lezioni appunto di 45’ e con la quota oraria residua destinata alla copertura delle assenze improvvise dei colleghi.
Per concludere con qualche considerazione finale ‘di sistema’, sarebbe necessario smettere di pensare alla scuola come ad un servizio di “parcheggio” per i propri figli (mutuo l’immagine da un annuncio pubblicitario comparso nella mia città, in cui una struttura privata offre servizio di “baby parking”): momenti ludico-ricreativi, di intrattenimento, ‘diversamente educativi’, potrebbero affiancare le attività più propriamente didattiche, risolvendo in altro modo le necessità che le famiglie hanno di sistemare i figli in orari compatibili con la propria attività lavorativa.Forse è arrivato il momento di riflettere su tanti temi che si intersecano dentro la questione “educazione“: non è detto che il tempo scuola non possa essere ricalibrato (anche attraverso una diversa distribuzione dei giorni di lezione e di vacanza, dei carichi orari settimanali e giornalieri…) rispondendo meglio innanzitutto alle esigenze pedagogiche, ma anche a quelle del funzionamento della società, con costi non necessariamente maggiori rispetto a quelli attuali, e comunque sostenibili.
Alessio Sokol
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