“Sono sporchi, puzzano e portano malattie”, così avrebbero reagito i genitori di quattro alunni italiani, al primo anno di una scuola primaria di Trani, dove la vicepreside dell’istituto ‘Beltrani’, Maria Mingrone, ha accolto due piccoli nomadi. La reazione delle quattro famiglie è stata vibrante, tanto da chiedere il trasferimento dei loro figli in un’altra scuola. Il motivo? Non tolleravano che potessero condividere l’aula con due bambini di etnia Rom.
“Nonostante avessi mostrato loro tutti i certificati sanitari e le vaccinazioni dei bimbi – ha detto all’agenzia Ansa la docente – i genitori dei quattro italiani mi hanno intimato di mandarli via dalla classe, rivolgendomi parole irripetibili”.
Eppure, dice ancora Mingrone, “ho fatto solo il mio dovere, rispettando il diritto allo studio previsto dalla Costituzione, senza alcuna discriminazione”. Una scelta condivisa dall’istituto ‘Beltrani’ che ospita in tutto cinque piccoli Rom: due nella scuola d’infanzia e tre in quella primaria. Vivono nel capo Rom tra Trani e Bisceglie, in zona ‘Mattinelle’. E sono seguiti dai servizi sociali che hanno convinto le famiglie a mandarli a scuola.
All’inizio, ricorda Mingrone, “si sono iscritti due fratellini Rom, di sei e sette anni, e io ho deciso di dividerli mettendoli in due classi diverse per evitare che si isolassero dal resto degli alunni”. Ai due piccoli Rom, però, la scuola è piaciuta così tanto che ogni giorno, rientrati al campo, “non facevano altro che parlare di quanto è bello studiare e di come si divertono in classe”, racconta la docente, “al punto che il loro cuginetto di sette anni ha voluto a tutti i costi iscriversi a scuola anche lui”.
La vicepreside non si è tirata indietro e nella sua “classe ha accolto il secondo bambino Rom”, non prima di aver mostrato ai genitori italiani tutte le certificazioni per scongiurare ogni paura dettata dai pregiudizi. Ma, quando alcuni di loro hanno saputo del secondo bimbo Rom, ricorda dispiaciuta la vicepreside, “sono venuti a scuola e, come belve inferocite, mi hanno attaccata con tutte le cattiverie possibili”. “Mi hanno perfino chiesto – aggiunge – come dovessero chiamarli: zingari o Rom? Ma ho risposto che sarebbe stato sufficiente chiamarli bambini, proprio come tutti gli altri”.
ur ammettendo che “questa vicenda scandalosa” l’ha “segnata”, la docente non è affatto pentita, anzi, è fiera “di aver aperto una breccia di civiltà”. “Magari – auspica – potessi avere tanti altri piccoli Rom a scuola: non avete idea di quanto siano desiderosi di apprendere e con quanta adorazione seguano tutto quello che insegniamo loro”.
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