Attualità

Quegli oltraggi omofobici contro un docente

La sopraffazione del più forte su quello che è considerato “diverso”, e che quindi va tenuto in condizione di minorità, di debolezza, di sottomissione: il bullismo in fondo è questo. Semplice, vilmente spregevole, tristamente banale. E di questa “banalità del male” ben 26 docenti sono stati vittime dall’inizio del 2018 alla fine di aprile. Stavolta è toccato ad un professore di Imola, fatto oggetto di bullismo omofobo (caso di cui anche La Tecnica della Scuola si è occupata qualche giorno fa).

Il docente ha descritto in una nota sul registro il comportamento omofobico e ingiurioso attuato contro di lui da alcuni alunni mediante disegni osceni sulla lavagna; ma la Preside lo ha invitato a modificare la nota cancellandone il movente omofobo. L’insegnante ha però tenuto duro ed ha deciso, senza modificare la nota, di sporgere querela contro i quattro responsabili del gesto omofobo.

Persecuzioni insopportabili

La notizia è stata data dal quotidiano Gay News, che riporta anche la lettera d’un conoscente del professore vessato, pure lui attaccato per la semplice “colpa” d’aver passeggiato col medesimo professore per le vie cittadine. «È tutto l’anno,» si legge tra l’altro nella lettera, «che si ripetono questi episodi. Eppure, la dirigente non si è mai fatta viva nonostante le numerose segnalazioni. Perché cancellare le note, prova dei ripetuti insulti a un pubblico ufficiale qual è l’insegnante? Per non parlare di alcuni colleghi del mio amico che prima hanno sottoscritto lettere di solidarietà e poi non hanno esitato a criticarlo alla spalle per paura di andare contro la preside. Scrivo questo un po’ come sfogo ma anche per rendere nota questa storia che mette in luce il livello palesemente omofobico della società e della scuola imolese».

Non soltanto imolese, naturalmente, è il problema dell’omofobia. Basti pensare alle eleganti parole indirizzate, subito dopo le elezioni politiche di marzo, all’attuale Vicepresidente del Consiglio e Ministro dello Sviluppo economico, Lavoro e politiche sociali da tal Vittorio Umberto Antonio Maria Sgarbi, illuminato scrittore, politico e critico d’arte, celeberrimo per la sua raffinata e pacata dialettica.

Non basta esser colti…

Nemmeno la cultura basta, a volte, ad ingentilire la rozzezza e la bassezza umane. Dunque non si può pretendere certo che dei giovani adolescenti in formazione, privi ancora di scienza e coscienza, siano superiori ai modelli che abbondano sui vari Banale 5 televisivi.

Del resto, se è vero quanto scriveva Machiavelli, secondo il quale «uno tristo cittadino non può male operare in una republica che non sia corrotta», dobbiamo chiederci perché troppi nostri giovani si mostrino appunto così tristi fin dalla più tenera età.

Banalità del male e obbedienza ai modelli impliciti

Le soperchierie contro gli insegnanti sono di moda perché gli insegnanti sono “diversi”. Rappresentano, infatti, quella minoranza silenziosa che non condivide e non incarna i valori dominanti: soldi, immagine, successo, potere, prevaricazione, scorrettezza. Il docente, soprattutto se bravo, disconferma simili “virtù”, sempre più spesso ostentate da chi vuole sentirsi “vincitore”. Per alcuni l’insegnante rappresenta chi ancora crede che studiare e lavorare onestamente sia giusto e soddisfacente: dunque è il debole, l’illuso, lo “sfigato”, il diverso; è colui sul quale sfogare le proprie frustrazioni, trovando finalmente, nella gerarchia sociale, uno più fragile da metter sotto.

Se poi il docente può esser denigrato anche per altre sue caratteristiche, meglio. Se lo si può anche lontanamente marchiare con uno dei tanti epiteti omofobici disponibili, ci si sentirà ancor più autorizzati a vessarlo. Tanto va di moda. Ed i ragazzi, incolpevoli esecutori dei modelli culturali impliciti della società adulta, faranno a gara per adeguarsi alle leggi non scritte cui quasi tutti gli adulti si conformano (magari con la battutina o il sorrisetto ipocrita).

Banalità del male, appunto. L’aguzzino “ha solo eseguito gli ordini”.

Uno screditamento che viene da lontano

Sono almeno tre decenni che i docenti delle scuole vengono screditati: prima di tutto col ridicolo stipendio con cui si ripaga la loro, spesso elevatissima, professionalità; poi col continuo discredito da parte dei media, attivissimi nel ricordare, degli insegnanti, unicamente i famigerati “tre mesi di vacanza” o le arcinote “due ore al giorno di lavoro”. Tanto che oggi chiunque non abbia figli a scuola è convinto che queste vili menzogne siano la realtà, e che i docenti guadagnino € 3.000 al mese, e che abbiano la quattordicesima, e che siano tremendamente assenteisti.

Dal 1993 i docenti delle scuole sono stati ficcati nel Pubblico Impiego; mentre i docenti universitari hanno continuato ad esser “pubblici dipendenti”, anziché impiegati, e per questa sottile (ma non troppo) differenza eleggono il proprio Preside di Facoltà e possono bloccare gli esami. Cosa che ai docenti delle scuole è ormai preclusa.

La Scuola tornerà a migliorare (e con essa la società italiana tutta), quando ai docenti tutti verrà riconosciuta la dignità sociale cui hanno diritto.

Alvaro Belardinelli (esecutivo nazionale Unicobas)

Alvaro Belardinelli

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