Ci sono adolescenti che “giocano” darsi fuoco con liquidi infiammabili per poi postare video sui social media e ottenere like di cui vantarsi. Ci son quelli che abboccano al Momo Challenge o al Blue Whale: si lasciano guidare per 50 giorni in “compiti” assurdi, come passeggiare soli alle due di notte, vedere film horror per 24 ore, arrampicarsi sul tetto, fino divenire schiavi del pirata informatico che guida il tutto per estorcer loro denaro o altro; fino a buttarsi dal piano più alto. C’è chi si impicca non per suicidarsi, ma per giocare al Black-out Challenge: altra “sfida” demenziale da immortalare sui social, consistente nel procurarsi un temporaneo soffocamento con svenimento finale. Poco importa, a chi propone la “sfida”, se qualcuno muore.
E le morti delle giovani vittime di questa follia si ripetono; mentre adulti, genitori e insegnanti ignorano il “mondo sotterraneo” ove figli e alunni trascorrono il proprio tempo senza viver più vite normali, sociali, tra libri di scuola e relazioni sane coi propri simili. I genitori li credono immersi negli studi, lì nelle loro camere. Non sanno di aver messo nelle loro mani un esplosivo potente che potrebbe distruggerli, un cavallo di Troia attraverso il quale qualunque demenza può insinuarsi nelle menti in formazione di giovanissimi esposti a qualunque perversa lusinga.
Quell’oggetto pericoloso è il cellulare: gioiello tecnologico e arma (spesso autodistruttiva) nelle mani di chi a quel gioiello delega libertà e raziocinio. La generazione dei baby boomers non se n’è nemmeno accorta, ma la mistura infernale web-cellulari ha sottratto completamente i giovanissimi (dai due ai 16 anni!) al controllo parentale. Troppi adulti usano tablet e smartphone come tate informatiche, senza saperne i rischi: prima di tutto dal punto di vista neuropsichiatrico, come sempre più studiosi affermano.
Così accade che, a 14 anni, molti adolescenti non sono più capaci di usare le qualità del proprio cervello: attenzione, inferenza, discernimento, analisi, sintesi, pensiero critico sono da loro delegati allo smartphone. Per questo copiano le versioni di latino dal web. Trovano inutili studio, memoria, interesse, ragionamento, meraviglia. L’amore per la vita, in queste condizioni, non esiste e non si sviluppa.
Chi nacque nei primi anni ‘60 imparava il desiderio di capire dalle pagine illustrate di Conoscere, l’enciclopedia dei Fratelli Fabbri Editori. Era semplice, forse banale; ma insegnava l’amore per la scoperta e per la conoscenza. Il desiderio di leggere e scoprire la letteratura nasceva dall’ascolto e dalla lettura delle Fiabe Sonore, grazie alle quali anche un bambino piccolo imparava la lingua italiana. Non capitava, all’epoca, ai docenti dei Licei del centro di Roma o di Milano, di leggere negli elaborati dei propri alunni sfondoni come “condurono” (per “condussero”), “sottraerono” (per “sottrassero”), “astruzzia” (per “astuzia”), “telo d’ho” (per “te lo do”). Non capitava loro nemmeno d’esser violentemente attaccati dai genitori perché desiderosi di insegnare qualcosa ai loro figli; né succedeva di saper morto un proprio alunno per una “challenge” (”sfida”) finita male.
La Tecnica della Scuola ha già trattato la dipendenza da droghe e i video musicali che la incentivano. Ebbene, troppi giovanissimi oggi sono dipendenti da “challenge”. C’è chi prova impiccarsi col cavo della Play Station per vedere che effetto fa la fame d’aria. Chi si fa riprendere mentre subisce calci o pugni sulle parti intime per mostrare la propria eroica resistenza al dolore. Chi si morde (da solo o vicendevolmente con altri) fino sanguinare per bere il sangue (esponendosi a epatite e AIDS). Chi aspira col naso un profilattico per poi espellerlo dalla bocca (rischiando vomito e soffocamento). Chi si rimpinza con chili di patatine fritte per mostrare al mondo la propria prodezza. Chi si mette sale sulla pelle schiacciandolo con un cubetto di ghiaccio per resistere al dolore (col pericolo di bruciar la pelle e rompersi le ossa, perché il ghiaccio mischiato al sale fa scendere la temperatura cutanea sotto i 17 gradi). Chi attraverso l’ano assume alcol mediante un tubo, mettendolo in circolo molto più rapidamente (e rischiando il coma etilico).
I video sono in rete, purtroppo. Non cercateli: rimarreste scioccati.
Che fare per i nostri ragazzi? Come sottrarli alla moda della stupidità e dell’autodistruzione? Come riempire il vuoto che ne divora le vite e le priva di senso e valore? Cultura e Scuola possono essere uno strumento per salvarli?
Certamente sì. Cultura e Scuola sono lo strumento. Purché ne siano convinti i docenti. Purché i genitori, a casa, non smontino (seppure inconsapevolmente) il lavoro che i docenti, con fatica, svolgono a Scuola. Se il messaggio, a Scuola e a casa, è lo stesso, qualunque adolescente può essere salvato. Provare per credere. Altrimenti, la battaglia è perduta in partenza.
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