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Quell’invidia per le vacanze natalizie dei docenti

Se in questi caldi giorni di dicembre qualche insegnante si arrischia a dire “Sono stanco”, la ribattuta dei presenti è immediata: “Adesso ti godrai 15 giorni di vacanza.”

Quello delle lunghe vacanze degli insegnanti è il solito refrain, se non addirittura una forma di malcelata invidia per una professione spesso svilita e malcompresa.
Focalizza molto bene la questione la docente e scrittrice Angela Cascella sul Domenicale.it con delle riflessioni che meritano attenzione.
Scrive la rpofessoressa: “ I Docenti sono da sempre una categoria che è stata capita poco, fraintesa, discussa, criticata. Molti sostengono che i Docenti lavorano poco per quel che guadagnano, che stanno seduti su una sedia a pensare ai fatti propri, che sono una categoria a parte, una schiera fortunatissima che gode di troppi privilegi. Questa concezione, una volta per tutte, va drasticamente e definitivamente lasciata al passato.Possibile che nonostante la scuola sia proiettata ai traguardi europei del 2020, c’è ancora qualcuno che pensa che si fa scuola con sollazzo e qualunquismo? Quando si tratta di fare il conteggio delle ferie, i docenti fanno un piccolo passo indietro ed ammettono alcuni giorni in più concessi loro di vacanza, ma tante sono le cose da valutare in tal senso.”
Insomma qualche giorno in più c’è di sicuro, ma la domanda è: cui prodest?
Innanzitutto agli alunni: “In riferimento alle vacanze natalizie, è stato dimostrato che la fatica mentale a cui sono sottoposti gli alunni richiede una congrua sospensione necessaria al recupero delle energie mentali: un buon studio consta anche di un buon uso dei tempi di recupero. L’Italia, si pensi, è il Paese Europeo che effettua il maggior numero di giorni di scuola.”

 

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Ma soprattutto prodest ai docenti:  “Ai docenti, poi, va riconosciuto l’onere di recepire sempre lo stesso rumore di voci di alunni che parlano, urlano, ridono, gridano per cinque- sei ore al giorno per sei giorni a settimana. Provate a moltiplicare le voci di casa vostra per venti e ne avrete contezza. E poi, la fatica mentale, l’impegno per gli alunni a star seduti a studiare per sei ore, in una scuola che non ha più il gusto di un tempo, ma che è intrisa di aspettative ed impegni non solo scolastici, ma anche genitoriali ed istituzionali. Dunque: non c’è spazio per non far nulla.
Docenti impegnati istituzionalmente e contrattualmente nella programmazione, sia nel curricolare che nell’extracurricolare, nel progettuale e nel laboratoriale, tra Lim, Bes, Dsa, Pei, Pdp, le otto competenze chiave, cittadinanza e costituzione, i progetti di recupero, la scuola in rete,  le prove Invalsi, le funzioni strumentali, il comitato di valutazione, il corso di BLS, gli incontri scuola-famiglia, i consigli di interclasse, il Ptof, la programmazione per curricoli e competenze, il registro elettronico, il Rav, il polo qualità, la valutazione e l’autovalutazione, il bilancio sociale, la comunicazione efficace, le competenze e la premialitá delle eccellenze, l’inclusione, la dispersione scolastica, gli strumenti compensativi e dispensativi, le attività aggiuntive, la refezione scolastica, le gite, le uscite didattiche, il piano di miglioramento, l’inclusività, i Pon, i FESR, la formazione e l’autoformazione, e l’elenco non è finito ancora…”

Conclude opportunamente la Cascella: “Insomma,  alle faine che credono che i docenti giochino a  “candy crush saga” durante le lezioni, sappiate che la Scuola non è un gioco, ma un impegno gravoso fatto di tantissima pazienza, volontà, capacità di coinvolgere e controllare le scolaresche e tanta tanta competenza metodologica, professionale, didattica, culturale ed umana.”
La scuola non è un gioco. Ad essa e ai docenti è affidata la formazione dei cittadini di domani. Ed è meglio che i formatori siano efficienti grazie a piccole, salutari pause, se vogliamo che  siano anche efficaci.

Silvana La Porta

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