I lettori ci scrivono

Quella buona scuola dei prof senza rotelle

Non è vero che la didattica a distanza non è scuola né che c’è stato un vuoto educativo in quest’anno scolastico.

Ci sono stati problemi di connessione che hanno impedito o reso difficile l’accesso alla formazione di studenti non in possesso di dispositivi adeguati, ma questo forse andava affrontato in sede di politica scolastica, laddove gli sforzi maggiori sono andati invece nell’appalto di milioni di banchi a rotelle che avrebbero dovuto assicurare il distanziamento. Intanto, restavano immutate le aule che avrebbero dovuto ospitare quei banchi e continuavano a sussistere problemi legati ai mezzi di trasporto che avrebbero dovuto portare i ragazzi a scuola.

a)      la buona scuola

C’è un punto non abbastanza valutato: la scuola ha continuato a svolgere la sua funzione anche in DAD e con la DAD, anche in quei momenti drammatici, quando prioritario era arrivare agli studenti superando una distanza che non era solo fisica, ma anche tecnica, perché si era quasi del tutto impreparati.

Ora, il fatto inoppugnabile è che si è realizzata una didattica innovativa. I docenti hanno dovuto inventarla e formularla dal nulla; qualcosa di inimmaginabile un anno fa. Hanno dovuto imparare da autodidatti ad utilizzare programmi per videoconferenza o per videoscrittura, a svolgere videolezioni, ad utilizzare lavagne digitali per esercizi on line, ad approntare, in sostanza, un’offerta formativa che si avvalesse di mezzi sofisticati. C’erano da dosare tempi di spiegazione con la proiezione di materiali e c’erano da cercare supporti digitali adatti. Si dovevano improntare strategie di verifica, specie scritta, veritiere e non falsate, per garantire trasparenza e oggettività di giudizio.

Non si è badato ai compiti contrattuali e si è accettata la sfida. Storie di ordinario senso di responsabilità, si direbbe… ma non è così.

Il compito fondamentale di non derogare al ruolo educativo sottraendosi al compito gravoso non è venuto meno, a costo di reinventarsi, spesso a 50 o a 60 anni, cimentandosi con tecnologie complesse. I docenti hanno, infatti, dovuto innanzitutto far capire ai propri alunni che quel tempo drammatico faceva parte della formazione e che poteva essere una grande occasione di crescita.

b)     le rotelle mancanti

C’è una visione della scuola che preme, ed è quella della scuola asilo sociale, della scuola parcheggio, la cui latitanza mette a rischio equilibri familiari e lavorativi. Essa va di pari passo con l’appiattimento al minimo richiesto, laddove l’ideologia ha fatto disastri, danni culturali e pedagogici, inducendo a diminuire non tanto la quantità del sapere, ma la qualità.

Da più parti si sono levate lamentazioni per il disorientamento, per il disagio, nonché per il rischio di dispersione scolastica o di danni psico-emotivi cui i ragazzi andrebbero incontro con la DAD. Esse sono state sollevate tanto da politici con responsabilità quanto da stimati esperti e studiosi.

Ma a costoro occorre rispondere che il rischio paventato è meno dannoso del guasto procurato. L’insegnante che è riuscito ad integrare nel processo formativo il momento tremendo della pandemia ha saputo offrire una lezione nella lezione, oltre la logica del “tutti promossi”, oltre la retorica dell’andrà tutto bene, e a fronte di una politica che, invece, non ha saputo adempiere al suo compito garantendo sicurezza degli ambienti scolastici e adeguatezza dei trasporti alla situazione pandemica.

Oggi che le scuole riaprono in una situazione sanitaria non certo migliore di quella di marzo o di ottobre s’invoca il diritto allo studio, ma si espongono personale scolastico, studenti e famiglie ad un rischio grave. Quello stesso rischio di aumento della curva dell’epidemia, che aveva portato alla chiusura delle scuole su tutto il territorio nazionale, anche dove non ce ne sarebbe stata necessità, oggi che i contagi sono aumentati e si è in presenza di varianti più contagiose e in assenza di vaccinazione per docenti e studenti, viene, di fatto, sottovalutato.

Clemente Sparaco

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