I lettori ci scrivono

Quella scarpa sbattuta sul tavolo…

Confesso che ci sono rimasto male. Quella scarpa premuta sui fogli del commissario europeo Pierre Moscovici, da parte dell’eurodeputato leghista Angelo Ciocca ha rivelato, ancora una volta, un lato oscuro della nostra coscienza nazionale. Un sentimento di dignità ferita che degenera,però, facilmente in atteggiamento villano, in oscuro complesso di superiorità.

Non so perché mi viene in mente il volo di D’Annunzio su Vienna con lancio di volantini beffardi. Un gesto superomistico, molto italiano. Ammettiamolo. Nel nostro comportamento, c’è un continuo, inconsapevole, riferimento alla grandezza antica. Altrimenti non avremmo inventato termini come Rinascimento e Risorgimento.

Qualcuno ha scritto che siamo un popolo “retrospettivo”, piuttosto che “prospettivo”. Costantemente polarizzato sul passato. In tale atteggiamento, probabilmente,è nascosto il segretodella nostra fecondità e dei nostri limiti. La ricchezza del passato ci dona una cultura completa, radicata, profonda. Ma anche una certa preclusione ai cambiamenti ed alle altre civiltà. Dobbiamo stare attenti. Nei meandri della nostra coscienza nazionale, ancora palpita, forse a nostra insaputa, il binomio civilitas – barbaries.

Mi spiego meglio. Se dovessimo analizzare la mente di una persona, come se fosse una casa, troveremmo, al piano terra,quello che un uomo percepisce immediatamente di se stesso e del suo ambiente, in base all’esperienza del corpo e della propria vita emotiva e sociale. Nel sotterraneo, invece,scopriremmo lo strato etnico-culturale, gli stereotipi del gruppo, le convenzioni e gli stili di vita di una certa civiltà. Riconosciamolo. Quanto è pesante il fattore etnico! C’è qualcosa, dentro di noi, che appartiene alla territorialità sospettosa dell’animale, che si mette subito in guardia di fronte ad un uomo diverso, ad una parlata sconosciuta, persino quando ascoltiamo un’intonazione dialettale differente …

Sotto questo aspetto, siamo molto poco evoluti ed ancora fortemente condizionati e limitati. Persino chi abita a cinquanta chilometri da noi può apparirci “diverso”. Anzi, paradossalmente, talvolta siamo disposti ad accettare più il totalmente diverso (l’africano, il cinese …) che il leggermente diverso (l’abitante della regione vicina). Per fortuna, però, tutti possediamo il primo piano della casa, quello biografico. È, infatti, grazie alla nostra esperienza quotidiana, che attenuiamo e superiamo i pregiudizi etnici. E, soprattutto, tutti, o quasi, disponiamo di un secondo piano mentale che consiste nei valori. È proprio grazie a questi valori che perveniamo a concetti universali ed unificanti come persona, cittadino, ragione, coscienza, morale, diritto … In altri termini, i pregiudizi etnici si superano solo grazie ad un’idea dallo spettro semantico più ampio. E bisogna riconoscere che l’idea più inclusiva e profonda che abbiamo ricevuto dalle culture da cui proveniamo (la classica e la cristiana) è quella di “persona”. Persona è, appunto, il soggetto cosciente, intelligente e libero, capace di costruire valori dalla portata universale.

Trasferendo il discorso sul piano pedagogico, noi dovremmo impegnarci a costruire, nelle nostre scuole, italiani imbevuti della ricchezza del passato ma, nello stesso tempo, aperti al mondo e protesi al futuro. Evitando sia i soggetti identitari ma non aperti, perché predisposti all’autoesaltazione. E sia i soggetti aperti ma non consapevoli di se stessi, in quanto ci condannerebbero ad una globalità nichilistica. Diciamolo. Gl’Italiani di oggi non si riconoscono più in gente che va in Europa a battere una scarpa su dei fogli. Siamo coscienti di quello che siamo ma anche dei nostri limiti e ritardi. Qualche voltaci sembra di assomigliare a quegli aristocratici decaduti che sfoggiano goffamente il blasone sulla facciata del palazzo ma sono rimasti in pantofole mentre il resto del mondo cresceva.

Luciano Verdone

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