Questa campagna elettorale, nella sua eccessiva aggressività, è riuscita a generare un’atmosfera irrespirabile di divisione e demonizzazione dell’avversario. Autoreferenzialità, totalitarismo strisciante, sentimento di superiorità di parte. Ci troviamo di fronte a tre anime politiche che si pongono, ciascuna, come esclusiva, assolutizzando il carattere taumaturgico della sua eventuale vittoria. Manca del tutto, se mai ci fosse stata, la doverosa attenzione alle ragioni degli altri. Come è ignorato l’atteggiamento della ricerca, ipotetica, graduale, delle soluzioni. Ciascuno ha la verità in tasca. E chi non rientra nella sua visione del mondo, è un alieno, un eretico.
Che penso della politica? La politica, non solo è buona. E’ qualcosa di eccelso, di sublime. Rappresenta la realizzazione massima della progettualità di un popolo, a livello sociale. Costituisce l’ambizione, quasi religiosa, di riuscire a conseguire stili di vita sempre più evoluti. La politica, prima ancora di essere il frutto di un meccanismo difensivo (tenere a freno le pulsioni individualistiche e distruttive dei singoli e delle parti), è creatività pura, ideale.
Per me, questa è la politica. Politeia, arte di costruire la polis, la città. Insieme. Nel dibattito democratico. Elaborando norme vincolanti per tutti. Aspirando al modo migliore di “vivere bene” (Aristotele). E non scontro, selvaggio, fra le parti, in nome di interessi particolari.
Io ammiro quanti si dedicano a questa nobile arte, necessariamente guidati da una specifica visione del mondo. Li stimo anche quando si dimenticano dell’assioma che lo spirito del discutere consiste non nel rovesciare la posizione dell’altro ma nel completarla, nel criticarla costruttivamente.
Così come detesto, con tutta l’anima, quanti trasformano la politica nella soddisfazione di una parte sociale, della conquista del potere, “sibi et suis” (per se stessi e per i suoi), fino alla demolizione diffamatoria dell’avversario.
Farò un solo esempio. Il problema dell’emigrazione, esploso con virulenza dai fatti di Macerata. Esso può essere ricondotto a due grandi visioni. Quella dell’uomo ideale e quella dell’uomo storico. Ambedue presenti nella cultura dell’Occidente.
L’uomo ideale. La persona, intesa come universalità spirituale e razionale, sempre uguale in ogni latitudine. Si tratta, forse, della più grande eredità culturale dell’antichità classico-cristiana: “Qualunque sia la definizione di uomo, essa è uguale per tutti”, scrive il pagano Cicerone. “Una persona è un universo di natura spirituale, un tutto indipendente di fronte al mondo”, scrive il cristiano Jacques Maritain. Quando pensiamo che tutti gli uomini sono uguali, per la ragione o per l’anima, la mente s’illumina, il cuore si scalda. Ci sembra di volare nell’azzurro del più nobile pensiero. E quando applichiamo tale concetto, viene fuori che l’africano che approda nella penisola è un altro me stesso, una soggettività unica e compiuta. E che la sua cultura, in quanto umana, è profondamente significativa, degna del massimo rispetto. Non voglio essere reticente. Questa idea, propria dei grandi filosofi greci, è stata raccolta dal Cristianesimo, poi dall’Illuminismo, quindi dalla Sinistra moderata che oggi si propone al cimento elettorale.
L’uomo storico. Ma il pensiero occidentale non è rimasto cristallizzato all’idea dell’universalità astratta della persona. Ha, in seguito, definito, nel Romanticismo e nell’Idealismo, il concetto di persona nella concretezza di una storia, di una cultura, di una nazione. Ecco allora il dilemma: Persona come idea o Persona come storia? Rispondo: Persona come idea e Persona come storia.
Attenzione, però, a non confondere l’idea con le sue degenerazioni. E le idee, anche le più perfette, hanno sempre una degenerazione. Così, l’idea di persona come universalità concettuale, può scadere in un’astratta esaltazione dell’uomo, priva di ancoramenti concreti (uno spiritualismo senza investimenti storici). Così, come l’idea di persona – nazione, può diventare celebrazione di una razza, avversione verso la cultura altra. Fino alle derive dei gulag, dei lager, del razzismo spicciolo.
Lo confesso. Io mi esalto quando penso che tutti gli uomini sono uguali (la persona come idea) e che posso riconoscermi in ogni uomo che incontro, in quanto è l’uomo il vero universo. Così, come mi esalto quando penso di far parte del popolo italiano, con la sua cultura, la sua lingua, con il suo tipico territorio, la religione cattolica, l’approccio formale del diritto romano, il senso del bello, le città come elemento nucleare …
La nazione italiana non è il concetto astratto di persona. E’ fatto, cultura, tradizione, modo di pensare e di essere. E questo, miei cari, non è fascismo, non l’ha inventato la Meloni o Salvini, scaturisce da tremila anni di storia. E non ci voglio rinunciare per un’idea astratta di persona, così come non voglio rinunciare ad un valore basilare, qual è il concetto di persona.
Allora, accogliamo pure chi non è italiano, senza rinunciare ad essere italiani, senza gonfiare i muscoli dell’identità nazionale, ma sforzandoci, attraverso la cultura, di diventare semplicemente consapevoli di tale identità. Accogliamo gli stranieri, in modo razionale e pianificato, integrandoli e promuovendo la loro dignità. Ponendo attenzione ai loro bisogni, senza abbandonare a se stessi gli strati più bisognosi della nostra gente. Inoltre, impediamo che questi fratelli africani si riducano a questuanti subumani agli angoli delle piazze … trasformando i nostri centri storici in ambienti pauperistici da terzo mondo. Non è questa l’accoglienza degna della nostra civiltà.
E proviamo, una volta tanto, a conciliare queste due grandi idee: la dignità di ogni uomo ed il sentimento di appartenenza ad un popolo e ad una storia. Senza pensare che la prima cosa sia buona, intelligente, di sinistra (perché è innanzitutto greca, cristiana ed illuminista). E senza pensare che la seconda cosa sia becera, di destra, o fascista, perché non è così: fa parte della nostra identità, del nostro bisogno strutturale di rifarci sempre ad grandezza antica e non passata: romanità, comuni, Rinascimento. Alla necessità di parlare sempre di rinascimenti e di risorgimenti. Fa parte di una civiltà che ci è invidiata da tutto il mondo.
E voi, politici, insegnate ai vostri seguaci a volare con due ali.
Luciano Verdone
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